ARCHIVIONon tutti gli ecomostri sono uguali: brutture picentine nel cuore della storia

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S.Maria a Vico Giffoni

 

GIFFONI VALLE PIANA (SA)- “Un fantasma si aggira per l’Europa”, è il celebre incipit del Manifesto del partito comunista di Marx e, volendo adattare le cose grandi alle piccole, si potrebbe dire “un fantasma staziona nei Picentini”. Il fantasma in questione è lo scheletro di una struttura prefabbricata, posizionata sull’attuale edificio che ospita la comunità montana dei Picentini, già plesso di scuola elementare.

 

Il prefabbricato inoltre affianca il complesso monumentale della chiesa paleocristiana di S. Maria a Vico (foto) a Giffoni Valle Piana, oggetto di restauri in corso finanziati dalla Regione Campania. Sembra che lo spettro edilizio, rimasto da oltre un anno a livello di scheletro, dovesse essere destinato a struttura comunale socio-sanitaria, oltre che per ampliamento degli spazi della comunità montana, di fatto cozzando visivamente con la chiesa oggetto di vincolo storico – ambientale, la cui violazione potrebbe essere la ragione del blocco delle attività di completamento. Già per i restauri della chiesa di S. Maria a Vico, per un totale di due milioni di euro, non sono mancate le singolarità, sin da quando la loro attivazione nel 2009 veniva subordinata alla concessione da parte della diocesi di Salerno al comune di un diritto di superficie della durata di dieci anni, nonché si faceva obbligo al parroco pro-tempore di garantire l’accesso ad “una cripta – museo sottostante la chiesa”, della cui esistenza si veniva a conoscenza solo in quell’occasione.

Inoltre, ancora più singolare appariva l’assenza, nella determina n. 99/2009 di bando dei lavori, di ogni riferimento alla soprintendenza ai beni culturali, soggetto istituzionalmente deputato alla salvaguardia dei beni monumentali. La soprintendenza compare solo successivamente, nelle determine 183 -184/2010 del comune di Giffoni Valle Piana, allorché, contestualmente ad un ribasso di asta nell’ordine di 431.393,06 euro, viene inserito nella commissione di collaudo un tecnico indicato dal sovrintendente assieme alla nomina di un consulente esterno per conto dello stesso comune appaltante. Nei fatti, la sovrintendenza risultava essere stata investita della questione per precedente iniziativa di due consiglieri di opposizione. Forse il ribasso potrebbe essere collegato ad una rimodulazione del progetto originario, su cui tanta parte doveva esercitare quella “cripta-museo sottostante la chiesa”, passata al vaglio tecnico della soprintendenza. Soldi risparmiati dalla regione che, in tempi di vacche magre, potranno trovare ampio utilizzo specie nel campo dei beni culturali.

Tuttavia, allo stato dei fatti, i lavori su tutta l’area sembrano languire, quelli sulla chiesa esteriormente fermi con seguito di diffida del comune alla regione a versare le anticipazioni, quelli sul manufatto prefabbricato chiaramente bloccati, e anche quelli sulla casa canonica, oggetto di un ampliamento di cubatura a seguito della rimozione di volumi posticci alla chiesa, diventati materia di ricorsi amministrativi.

Resta la speranza di vedere presto riconsegnata al culto l’antica chiesa di S. Maria a Vico, con le sue belle colonne corinzie di età classica, calate in una pianta a croce greca, che tanta parte hanno esercitato sulle leggende locali, al punto da volerle identificare con il tempio di Giunone Argiva, menzionato per il territorio dei Picentini dal geografo Strabone in età augustea. Il riferimento dell’antico geografo era di sicuro all’Heraion di Paestum, mentre l’identificazione con S. Maria a Vico è frutto di un apocrifo del tardo cinquecento.

Non a caso, ancora nel 1940, l’erudizione di Benedetto Croce ne ritrovava traccia nella storia di Stellante Costantina, “figliuola del Gran Turco, venduta ad un mercante vicentino presso Salerno”, riportata in una raccolta di cantastorie proprio del cinquecento e, addirittura, in un passo dei Mémoires di Casanova, il quale ricorda nel 1770 l’ospitalità ricevuta dall’anonimo marchese di C., marito di una sua figlia adulterina, tra Vicenza e Battipaglia.

“Vicenza” è nient’altro che la corruzione del nome di Picenza, la città eponima dei Picentini legata all’epopea di Silla, che il cantastorie di Croce pure identificava in S. Maria a Vico, ovvero nel “gran tempio di Giove, nel loco detto Santa Maria del Fico” come vi si legge. C’è dunque da auspicare che un luogo così carico di evocazioni, anche spurie, non debba cedere all’invasività, tutta contemporanea, del cemento.

Tra l’altro, per completare i riferimenti storici, il beato Pio IX, il 20 dicembre del 1870, a tre mesi esatti dalla breccia di Porta Pia, concedeva all’altare maggiore della chiesa di S. Maria a Vico speciali privilegi e indulgenze con una sua bolla. Vi si legge di “saeva loca”, di luoghi selvaggi da decorare con “doni spirituali”.

L’uso dell’aggettivo sarà stato anche suggerito dalla scomunica ai responsabili diretti e indiretti della presa di Roma diventata capitale del Regno d’Italia, ma singolarmente viene a coincidere con l’uso ricorrente dell’espressione “cemento selvaggio” tanto in voga nell’Italia di oggi.

Nicola Russomando

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Redazione Eolopress

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