ARCHIVIOCaso Santoro: valanga di nuove accuse depositate al Riesame

admin18/10/2012
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Santoro_Marta_sola-verticale
Spuntano come funghi nel bosco dopo un acquazzone. Sono circa trenta gli imprenditori che hanno denunciato Marta Santoro, l’ex comandante della Forestale di Capaccio rinchiusa nel carcere di Fuorni da qualche settimana, dopo che la procura di Salerno l’ha fatta ammanettare con le gravi accuse di concussione e millantato credito.

Trenta titolari di attività imprenditoriali, distribuite tra la Piana del Sele, gli Alburni e parte del Cilento le cui denunce sono state raggruppate nei nuovi atti depositati poche ore fa dal sostituto procuratore Maurizio Cardea alla cancelleria del Tribunale della Libertà che, tra quattro giorni, dovrà decidere proprio sull’istanza di scarcerazione presentata dal difensore della donna. Un malloppo di oltre mille pagine, che vanno ad aggiungersi alle circa trecento dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Renata Sessa all’indomani del fermo della donna e di suo marito, omologo della Santoro alla caserma di Foce Sele di Eboli, pure lui inguaiato dal blitz dei carabinieri e subito ammesso al beneficio dei domiciliari. A differenza della moglie, la cui posizione sembrerebbe aggravarsi col trascorrere del tempo.

Ora c’è la «novità» rappresentata da questa lunga e corposa serie di accuse mosse nei confronti di chi, da tempo, era diventato un incubo per gli operatori economici del territorio. Certo, è lecito supporre che tra questi si annidino anche soggetti con posizioni compromesse e che, grazie a questo «incidente», sperano di trarne vantaggi futuri in termini di attenuazione di partite personali facendo affidamento sull’inevitabile confusione che ne discenderà: accade sempre così, ed ovunque, non sarebbe la prima volta. Ma la sostanza del problema varia di poco perché è impensabile che siano tutti pronti ad insinuarsi nella scia aperta dall’inchiesta. A questo punto diventa complicato pure immaginare gli sviluppi che, in seguito alle nuove acquisizioni dell’accusa, prenderà l’intera operazione di ripulitura del settore che la magistratura ha, seppur tardivamente, avviato. Dal 22 ottobre se ne capirà di più, vale a dire che dall’esito della pronuncia dei giudici del Riesame sarà forse possibile tracciare un quadro più realistico. C’è anche da capire la linea che la procura intenderà mantenere perché –Tangentopoli docet– non è sempre concussione quella che emerge quando un rapporto tra imprese e organi di controllo va in tilt. Migliaia di imprenditori sfilavano, questo non bisogna mai dimenticarlo, ai piedi dei vari Di Pietro piagnucolando, dicendo di esser stati concussi da questo o quel politico, questo o quel finanziere, questo o quel direttore generale e via dicendo: era spesso il contrario, nel senso che erano gli imprenditori ad offrire danaro, qualificando così la fattispecie come corruzione e non concussione, punita quest’ultima (salvo imminenti modifiche governativo-parlamentari) in maniera più severa. Nulla esclude che anche nel caso di Marta Santoro le cose siano andate in quel modo: il che non sposta di una virgola la gravità di un’ipotesi delittuosa con al centro un rappresentante dello stato intento a chieder danaro in giro per fare e/o omettere controlli.

Non cambia però neppure il ventaglio di domande, al di là del merito tecnico-giuridico, che la vicenda continua a porre. Anche le pietre sapevano che Marta Santoro adottava metodi -come dire?- particolari nello svolgimento del proprio servizio: dall’invito rivolto sovente a qualche «preda» di lasciar perdere la nomina del legale di fiducia («Ma che lo metti a fare l’avvocato» sembra sussurrasse nell’immediatezza dei vari blitz) a sibilline ed inquietanti affermazioni («C’è un modo per superare il problema…il pm è amico mio…») per non dire degli episodi di terrorismo nei confronti dei controllati manco stesse sgominando gang di narcos messicani («Io ti porto in galera…ti faccio vedere io…»). Possibile che in procura non sapessero? E che ruolo avrebbero svolto – se l’hanno svolto- gli uomini che la governavano? Santoro agiva sempre su propria iniziativa oppure eseguiva ordini dall’alto? E se agiva di iniziativa chi convalidava i sequestri e in che modo? Il pm Cardea ha visionato tutti gli atti partoriti negli ultimi anni? Lo sanno in procura che, spesso, ci si trovava dinanzi a provvedimenti mossi sulla base di reati «pesanti», salvo poi trasformarsi nel corso dei giorni in altro e senza che nessuno ci capisse granché? Il procuratore Roberti ne è informato? Infine: si conosce l’identità di questo magistrato che, secondo ciò che è diventata addirittura una vulgata della Piana, era in rapporti con la Santoro al punto da esser stati notati insieme nella zona di Capaccio? Sono domande che esulano dal presupposto dell’indagine ma che circolano in un territorio che col problema s’è dovuta giocoforza misurare.

Indipendentemente da finirà sul piano giudiziario per la signora, che si trova pur sempre in galera e per la quale vale la presunzione di innocenza (ovvio) ci sarà un chiarimento anche su questo oppure si procederà spediti verso la chiusura di una pratica che rischia di diventare imbarazzante?

Peppe Rinaldi

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