ARCHIVIOScandalo Forestale: la Santoro in carcere, domiciliari al marito. Voci fuori controllo in procura

admin05/10/2012
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Striscino_contro_santoro-petillo

CAPACCIO-PAESTUM (SA) Carcere confermato per Marta Santoro, ormai ex comandante della Forestale di Capaccio finita in manette con l’infamante accusa di concussione e tentata concussione ai danni di imprenditori della Piana. Il marito, Antonio Petillo, invece va ai domiciliari. E’ di pochi minuti fa la decisione del giudice per le indagini preliminari che, dopo l’interrogatorio di garanzia di oggi pomeriggio, aveva deciso di riservarsi, rinviando la scelta di poche ore.

Secondo indiscrezioni sembrerebbe, però, che il fermo non sia stato convalidato, nel senso che potrebbero esserci stati impedimenti di natura tecnica perché l’ordinanza di custodia cautelare sarebbe in fase di ultimazione. Il risultato però non cambia, confermando in larga parte le ipotesi accusatorie del pm Maurizio Cardea. I due, marito e moglie, in pratica avrebbero preteso danaro da alcuni imprenditori per evitar loro i controlli che, ossessivamente, la Santoro effettuava nel territorio di competenza: e, a volte, anche fuori dello stesso. Si è anche vociferato del coinvolgimento di altre figure, forse con incarichi istituzionali nella zona, ma allo stato non c’è conferma.

Ma non è questo il punto, il cuore del problema: almeno non completamente. Perché il vero, grande macigno che grava su questa triste vicenda tutta italiana (sempre che tutto venga confermato nel prosieguo dell’iter giudiziario) è il «legame» che Marta Santoro, notoriamente, manteneva con un magistrato in servizio presso la procura della repubblica di Salerno. Non sono poche le persone, oggetto dei controlli della “giustiziera” anche su questioni che esulavano totalmente dalle competenze del Corpo forestale dello stato, che sostengono ancora oggi che l’ex comandante della caserma di Capaccio dicesse spesso parole del genere: «Sono amica del pm… il magistrato lo conosco bene…» e cose di questo tipo. Il che crea un problema grande quanto una casa al procuratore capo di Salerno, Franco Roberti. Chi è questo magistrato e perché la Santoro ne parlava in maniera così disinvolta? Sono circostanze che non significano nulla in linea di principio ma che, al tempo stesso, potrebbero significare tutto: vale a dire aprire un varco in un meccanismo a tenaglia che ha letteralmente strozzato decine e decine di imprese del territorio della Piana, costringendo imprenditori ad estenuanti viae crucis tra avvocati, periti, uffici di pm, enti, comuni e chi più ne più ne metta senza, alla fine, cavarne un ragno dal buco. Nel senso che alcuni provvedimenti adottati dalla Santoro erano totalmente fuori dal contesto, improvvisati, privi di concretezza giuridica.

Com’è stato possibile che la procura di Salerno si sia affidata per così tanto tempo nelle mani di «servitori dello stato» che di urbanistica, pianificazione territoriale, piani particolareggiati, piani regolatori, piani paesistici e via dicendo, oggettivamente ne sapevano quanto un calciatore ne sa di epistemologia? E perché, nonostante nel palazzo di giustizia le voci circolassero da tempo, si è continuato ad ignorare una circostanza del genere?
A Capaccio -ma non solo- dove addirittura qualcuno ha esposto striscioni liberatori (foto in alto, da www.agropolilive.it) le voci parlano di un magistrato spesso notato in sua compagnia anche fuori dall’orario ordinario -sempre che gli investigatori ne abbiano uno, s’intende-, un magistrato «amico», tra gli altri, di un noto commerciante dell’area di Capaccio Scalo e, parrebbe, amico a sua volta anche della Santoro: se tutte queste indiscrezioni venissero confermate, non è da escludere che la faccenda prenda un’altra piega e l’inchiesta venga trasferita per competenza alla procura di Napoli. A meno che -e non lo si può escludere- tutta questa storia sia stata «concertata» in maniera tale proprio per evitare un trauma più grande, giocando cioè d’anticipo e stangando Santoro e Petillo prima di altri. Ma si tratta di illazioni.

Franco Roberti, il capo della procura di Salerno, è un tipo tosto, abituato a ben altra caratura criminale: ne sapeva qualcosa? Non ne sapeva nulla? Nessuno gli ha mai riferito di quel che accadeva (non tanto le tangenti, ancora tutte da dimostrare) alle imprese del territorio che di punto in bianco dovevano mettersi a rincorrere le bizze del comandante della Forestale? Sono domande alle quali prima o poi bisognerà rispondere perché questa storia, al di là delle specifiche contestazioni, puzza da lontano come una carogna.
Peppe Rinaldi
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