ARCHIVIOL’Opera omnia di Ratzinger, la liturgia e il gioco dei bambini

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L’opera omnia di Joseph Ratzinger, concepita in sedici tomi per impulso di Gherard Ludwig Mueller, vescovo di Regensburg, ed edita in lingua originale dalla casa editrice Herder, ha visto già da un anno la pubblicazione del primo volume (in realtà XI nel piano redazionale) in traduzione italiana per i tipi dell’editrice vaticana. Così come per il Gesù di Nazaret, unico lavoro del periodo pontificale ad essere annoverato nel piano dell’opera al tomo VI, la raccolta degli scritti di Ratzinger è stata concepita non come «atto magisteriale», ma come silloge della «ricerca personale» dell’Autore, secondo i criteri della scientificità. La scelta poi di esordire con la teologia della liturgia, in deroga al progetto redazionale, appare non accidentale, come lo stesso Autore ha motivato in una sua prefazione al volume.

Il senso di tale scelta riposa sulla stessa decisione del Concilio Vaticano II di trattare la liturgia come primo argomento dei suoi lavori. La costituzione Sacrosanctum Concilium è, infatti, ricondotta da Ratzinger a scelta non accidentale, pur nell’assenza di un determinato programma nei lavori dell’assise conciliare, ma «cominciando con il tema “liturgia”, si mise inequivocabilmente in luce il primato di Dio, la priorità del tema “Dio”». Conseguenziale, dunque, anche la scelta di riproporre il tomo degli scritti ratzingeriani sulla liturgia come ideale “proemio” di tutta l’opera. Un’idealità di prospettiva che l’Autore riconduce alle scaturigini stesse della cristianità occidentale, alla Regola di S. Benedetto, più che mero elemento di riflessione argomentativa, le cui parole «Ergo nihil Operi Dei praeponatur valgono in modo specifico per il monachesimo, «ma hanno valore, come ordine delle priorità, anche per la vita della Chiesa e di ciascuno nella sua rispettiva maniera».

La personale ricerca di Ratzinger, che si muove altresì nella prospettiva metodologica di non disgiungere il dato della fede da quello della scienza, trova ulteriore attestato nell’analisi filologica che la prefazione individua in limine per il termine “ortodossia”. « È forse utile qui ricordare che nel termine “ortodossia” la seconda metà della parola, “doxa”, non significa “opinione”, ma “splendore”, “glorificazione”: non si tratta di una corretta “opinione” su Dio, ma di un modo giusto di glorificarlo, di dargli una risposta». Non l’acribia del filologo dunque, ma l’esigenza di una rigorosa impostazione metodologica sorregge la scelta di affidare al tema della liturgia il valore e il senso riassuntivo di tutta una ricerca teologica che coincide con l’esperienza personale dell’Autore. In tale prospettiva, chi volesse trovare nel volume questioni sulla liturgia nella forma extraordinaria, sviluppate nell’attività magisteriale, trattate nella forma di pronunciamenti ufficiali, è destinato a rimanerne privo. Di ciò sembra del resto esserne consapevole lo stesso Ratzinger, allorché, in riferimento alle polemiche che accompagnarono la pubblicazione nel 2000 del suo Introduzione allo Spirito della Liturgia, nucleo anche del presente volume, in ordine al capitolo “L’altare e l’orientamento della preghiera nella liturgia”, scrive: «i lettori delle recensioni hanno dovuto dedurne che l’intera opera abbia trattato solo dell’orientamento della celebrazione e che il suo contenuto si riduca a quello di voler reintrodurre la celebrazione della messa “con le spalle rivolte al popolo”». Tale errato «travisamento» aveva indotto l’Autore alla persuasione di doverne sopprimere il capitolo incriminato a tutto beneficio di una conoscenza dell’opera scevra da pregiudizi di sorta. Soppressione che, peraltro, non è stata più considerata anche per tutta una serie di studi intervenuti sull’argomento, di carattere teologico e archeologico, di cui si dà ampia referenza nella prefazione, che convergono, univocamente, nella conclusione per cui «Sacerdote e popolo certamente non pregano uno verso l’altro, ma verso l’unico Signore. Quindi guardano nella preghiera nella stessa direzione: o verso Oriente come simbolo cosmico per il Signore che viene, o, dove questo non fosse possibile, verso una immagine di Cristo nell’abside, verso una croce, o semplicemente verso il cielo, come il Signore ha fatto nella preghiera sacerdotale la sera prima della sua Passione (Giovanni 17, 1)».

Questa che potrebbe sembrare solo una digressione si rileva decisiva per sgombrare il campo da ogni lettura riduzionistica del contributo di Ratzinger alla teologia della liturgia. L’Autore se ne rivela pienamente consapevole allorché colloca la liturgia «al di sopra delle questioni spesso grette circa questa o quella forma», individuando, nel contempo, tre ambiti di trattazione del tema. «C’è innanzitutto l’intimo rapporto tra Antico e Nuovo Testamento; senza la relazione con l’eredità veterotestamentaria la liturgia cristiana è assolutamente incomprensibile. Il secondo ambito è il rapporto con le religioni del mondo. E si aggiunge infine il terzo ambito: il carattere cosmico della liturgia, che rappresenta qualcosa di più della semplice riunione di una cerchia più o meno grande di esseri umani; la liturgia viene celebrata dentro l’ampiezza del cosmo, abbraccia creazione e storia allo stesso tempo. Questo è ciò che si intendeva nell’orientamento della preghiera: che il Redentore che noi preghiamo è anche il Creatore, e così nella liturgia rimane sempre l’amore anche per la creazione e la responsabilità nei suoi confronti».

La dimensione cosmica che si proietta oltre i confini di spazio e tempo è quella che meglio di altre descrive la funzione della liturgia e della sua teologia. Nel capitolo primo della Introduzione allo Spirito della Liturgia, Ratzinger, facendo sua l’ardita immagine d’inizio ‘900 della liturgia come “gioco”, da questa faceva derivare la riflessione sul gioco dei bambini come «anticipazione della vita futura». «Allo stesso modo la liturgia potrebbe ricordarci che noi tutti, davanti alla vera vita, cui desideriamo arrivare, siamo in fondo come dei bambini o, in ogni caso, dovremmo restare tali; la liturgia sarebbe allora una forma completamente diversa di anticipazione, di esercizio preliminare: preludio della vita futura, della vita eterna, di cui Agostino dice che, a differenza dell’attuale, non è intessuta di bisogno e di necessità, ma in tutto e per tutto della libertà di donare e di dare».

A quest’essenziale spirito di gratuità s’ispira il criterio di ricerca teologica di Ratzinger sul significato e lo «spirito» della liturgia, che si traduce, in chiusa di prefazione, nell’auspicio di una più profonda comprensione e una sempre più degna celebrazione della liturgia, con le parole di Neemia (8, 10) “La gioia del Signore è la nostra forza”. Gioia del Signore e forza dei credenti, che attingono anche ad un’intelligenza più compiuta della teologia della liturgia, cui il contributo di Ratzinger si rivela in ogni caso decisivo.


Nicola Russomando
(Pubblicata in Filosofia e Teologia, 3/2011)

 

Redazione Eolopress

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