CAVA DEI TIRRENI (SA)- “Educare alla vita buona del Vangelo”: è stato questo il tema del 62° convegno dell’Associazione degli ex alunni della Badia di Cava, che si tiene per statuto la seconda domenica di settembre di ogni anno (nella foto un momento dell’incontro).
Il tema del convegno è stato mutuato dalle indicazioni della Conferenza episcopale italiana per il programma pastorale del prossimo decennio, incentrato sulla questione educativa della Chiesa in Italia, vista come emergenza tout court in una società che, tra le varie crisi, annovera quella etica quale sintesi di tutte le incertezze dell’attuale ciclo storico. Ritrovare la propria identità attraverso la strutturazione di percorsi educativi, che, per la Chiesa hanno per fondamento “la vita buona del Vangelo”.
La relazione all’assemblea degli ex alunni è stata svolta, in sostituzione del conferenziere annunciato ma impossibilitato, Francesco Paolo Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale, dal preside Domenico Dalessandri, potentino, ex alunno anch’egli, con una lunga e prestigiosa militanza politica, che ha dato al suo intervento il sapore delle cose vissute. L’esperienza del dirigente scolastico, oggi accreditato solo come manager di un’azienda, messa a confronto con la sfida educativa, che di economico può avere solo risultati a lungo termine e di carattere generale nel positivo conseguimento degli obiettivi proposti. Tuttavia, nella confusione degli ultimi decenni, si è spesso privilegiata la dimensione “dell’utile sull’ornamentale”, secondo una citazione di Franklin ricordata dal conferenziere, quasi che la dimensione educativa sia immediata traduzione di valori economici e dunque funzionale ai processi produttivi. Di qui le frequenti confusioni di ruolo tra “agenzie educative”, secondo un malinteso principio della sussidiarietà, tra percorsi educativi istituzionali e formali, quelli delle scuole di ogni ordine e grado, quelli non formali e strumentali delle associazioni di categoria e, infine, quelli informali, connessi alla più generale capacità associativa in formazioni sociali.
Questi gli elementi di una ricostruzione del fenomeno educativo in termini sociologici, che, comunque, non possono mai prescindere dal soggetto primario della potestà educativa, la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”. Sulla famiglia si concentra da sempre l’interesse della Chiesa, quale “agenzia educativa primaria” per la strutturazione dell’uomo a venire. Anche dalle parole di Dalessandri è apparso evidente che buona parte della crisi educativa contemporanea è conseguenza della crisi dell’istituto familiare, la cui stessa definizione giuridica è oggi materia di aspri dibattiti nelle affannose ricerche di formule omnicomprensive. Una questione, questa pedagogica, non estranea dunque alla missione della Chiesa, come pure si pretende in ambito laicista, e che si giustifica con il mandato ultimo affidatole da Cristo d’insegnare a tutti quanto ricevuto, sicuramente per la salvezza delle anime, ma anche per la costruzione dell’uomo qui sulla terra e nella storia.
Il convegno annuale è anche occasione di bilanci per l’associazione degli ex alunni. Su questo fronte non sono mancate di aleggiare le “ombre dello Sheol”, ovvero del biblico regno delle ombre, come ebbe a dire a proposito un conferenziere di qualche anno fa, il noto grecista Luigi Torraca. Da quando le scuole della Badia sono state chiuse nel 2005 in base a progetti di sfruttamento turistico delle strutture poi rivelatisi impraticabili, il sodalizio è privato di nuove immissioni. Di qui la proposta del presidente in carica Antonino Cuomo, caldeggiata dall’amministratore apostolico, l’abate Giordano Rota, di aprire l’associazione agli amici della Badia, anche sull’onda del millenario appena concluso. Si vedrà se la proposta sortirà l’effetto sperato. In ogni caso, per costituire e mantenere forme associative è necessario un affectus, che ne giustifichi presupposti e finalità. La finalità dell’associazione degli ex alunni è il diffondere lo spirito benedettino nella società e titolo di partecipazione è l’essere stati parte di una compagine che non si esauriva nella sola trasmissione di nozioni formali, bensì di un progetto pedagogico esteso con la scuola come forma di esperienza del carisma benedettino. Col progressivo allontanamento dei monaci dall’insegnamento si è poi consumato il divorzio tra abbazia e istituti scolastici, la cui chiusura è stata solo il sigillo finale. Tuttavia la questione resta, in qualche modo, ancora aperta proprio alla luce delle indicazioni della CEI circa la proposta educativa per la “buona vita del Vangelo” che la Chiesa, in tutte le sue articolazioni, è chiamata a compiere per l’Italia.
Nicola Russomando