Omissis-ArchivioLa Dynasty di Catanzaro (parte IV-fine)

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In genere si parla di “palazzo del potere”, quando si vuole indicare il luogo, quello vero, della decisione: politica o economica conta poco, quel che è importante è che il posto indicato dia il senso concreto del comando. Per Catanzaro il discorso cambia, non solo e non tanto perché i luoghi-simbolo del potere vanno sbiadensosi man mano che passa il tempo. Quel che accade un po’ ovunque.

A Catanzaro, invece, la parola e il concetto sono soggetti ad una variante: meglio parlare di “i palazzi dei potenti”. Sì, perché se c’è qualcosa nella città capoluogo della Calabria che consegna un volto, un nome (ed un cognome) al sistema di potere locale, ne disegna il tratto dominante e lo offre plasticamente alla vista di ognuno, questa è senz’altro la corposa serie di edifici privati in mano pubblica. Il che si ricollega al cuore del breve, ma eloquente, viaggio di Calabria Ora nella città segnata da una particolarissima Dynasty.
Nelle scorse puntate, in pratica, abbiamo cercato di raccontare il chi e il cosa dei gruppi familiari che dirigono l’orchestra generale. Ponendo qualche domanda, piccoli interrogativi volti a cercar di capire, ad esempio, come mai strutture fondamentali della “edilizia politico-istituzionale” si preferisca da anni tenerle in affitto e non invece realizzarli in proprio. Inutile ripetere che sarebbe un’operazione oltre che intelligente anche conveniente: si libererebbero risorse pubbliche e, forse, qualche problemino in più potrebbe esser avviato a soluzione. Parliamo pur sempre di centinaia di migliaia di euro di danaro pubblico che viene travasato ad ogni scadenza mensile o annuale. Invece, come testimonia il reportage fotografico realizzato nei giorni scorsi (e del quale, per ovvie ragioni di spazio, siamo costretti a pubblicarne una minima parte) il grosso delle strutture che ospitano uffici pubblici sono di proprietà di famiglie che incarnano la galassia del potere vero. E non solo catanzarese. Com’è il caso dei Noto, dei Mancuso e dei Procopio (questi ultimi proprietari del grosso degli edifici pubblici a Sellia Marina) i quali, accanto agli Speziali e agli Abramo, pur nelle diverse sfumature, detengono la golden share dell’intero sistema. Certo, non si può addebitare nulla a queste famiglie: esse legittimamente possiedono e legittimamente fanno quel che vogliono dei loro beni. Semmai il problema è della politica.
L’ex governatore Loiero, nell’intervista rilasciata al nostro direttore, parlava di immobiliaristi che gliel’avrebbero fatta pagare per aver avviato la costruzione della nuova sede della Regione, determinandone così la sconfitta elettorale. Resta da capire però se corrisponde a verità che, mentre da un lato si costruiva, dall’altro venivano aumentati i canoni di fitto dei locali.
C’è anche un altro elemento singolare da sottolineare al fine di rendere ancor più agevole la comprensione del “problema”: Palazzo Campanella, sede del consiglio regionale a Reggio Calabria, venne realizzato grazie alla presidenza d’assemblea di due catanzaresi (Antongiulio Galati e Rosario Chiriano). Ci sono riusciti a Reggio ma non nella loro città. Qualcosa vorrà pur dire. (4-fine)
Peppe Rinaldi dal quotidiano “Calabria Ora”

Peppe Rinaldi

Giornalista

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