L’Anac gela l’amministrazione comunale e trasmette gli atti alla Corte dei Conti, alla Procura, alla Regione e all’Asl: tutto fuori legge. Si aggrava la posizione degli indagati di una delle inchieste sul crac della cooperativa.
Nell’edizione odierna (sabato 21 luglio 2018) di due quotidiani locali si legge che il problema della restituzione del finanziamento europeo per la realizzazione del Centro polifunzionale Ss.mi Cosma e Damiano (o Casa del Pellegrino), circa 6 milioni di euro, è in buona sostanza risolto: la Regione Campania avrebbe in pratica rassicurato l’ente che quei denari, o almeno una parte di essi, potrebbero non dover essere restituiti, mentre resta aperta la questione relativa ai residui 1,7 milioni che, verosimilmente, dovranno tornare alla fonte.
Non vorremmo guastare il brindisi né turbare l’esultanza del primo cittadino di Eboli ricordando che la nota della dirigente regionale prescinde dagli atti già consolidati in tema di revoca dei fondi (per la qual cosa c’è solo la via della giustizia amministrativa, cosa che in realtà il sindaco ha già fatto affidandosi ad un calibro da 90 del Tar di Salerno come l’avvocato Lentini) ma siamo in qualche modo obbligati a continuare sulla strada sin qui seguita nel racconto della famigerata “vertenza Ises”. Come? Aggiungendo l’ultima tessera di una trama che appare infinita ma che, in verità, è prossima alla fine: già, perché con la stroncatura definitiva che l’Anac (Autorità anticorruzione) ha fatto della scelta del comune di piazzare nella Casa del Pellegrino ciò che era rimasto della coop, vale a dire 20 poveri disabili dimenticati da Dio (i familiari possono sottoscrivere tutte le carte che vogliono, la copertura legale e i diritti conseguenti sono tutt’altra cosa) e qualche decina di ex e nuovi soci, è l’ennesimo duro colpo assestato dalla realtà a chi, ancora oggi, prova a forzarla.
La delibera sottoscritta da Raffaele Cantone, magistrato che non ha bisogno di presentazioni ulteriori, è del 4 luglio, è stata licenziata dall’Ufficio Vigilanza Servizi e Forniture il 16 successivo, ed è indirizzata anche al comune di Eboli, dove facciamo finta di credere ancora non sia stata recapitata.
Provando a farla breve e senza addentrarci in fini argomentazioni tecnico-giuridiche, va detto che Cantone, in sostanza, strapazza l’amministrazione, denudando chi abbia voluto credere alla favola «dell’interesse pubblico», della «continuità assistenziale dei pazienti», della «urgenza e necessità indifferibile» correlate alla scelta di far occupare da un privato, peraltro in gravi condizioni di per sé, un bene pubblico finanziato per una cosa e utilizzato -sinora- per farne altro. Insomma, un pateracchio grande quanto una casa che non solo riporta al centro il nodo della restituzione del finanziamento Ue da restituire -e ci sarà da divertirsi quando quelle poste dovranno arrivare nel bilancio- ma che aggrava la già periclitante situazione giudiziaria del sindaco e degli altri indagati. Infatti Cantone ha notificato la delibera non solo al comune, alla Regione e al sacerdote don Enzo Caponigro (che ha denunciato questa parte della truffa generale tuttora in corso) ma anche all’Asl, alla procura della Corte dei conti e alla procura della repubblica di Salerno: ufficio, quest’ultimo, dove sarebbe imminente la chiusura delle indagini su uno dei filoni Ises da parte del sostituto procuratore Valleverdina Cassaniello.
In sintesi, ecco cosa scrive Cantone: 1) Non è vero che la delibera consiliare del 14 dicembre 2016 (quella in cui il consiglio comunale di Eboli smarrì tutte le vertebre residue e ratificò la pazza idea del sindaco) era un semplice atto di indirizzo ma si è trattato di un vero e proprio «atto di gestione costituito da affidamento diretto»; 2) Essendo tale, il Comune ha violato tutte le regole in materia di evidenza pubblica, trasparenza, terzietà, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione; 3) Non è vero che c’era «urgenza» e che «solo nel 2016 il Comune di Eboli è venuto a conoscenza della situazione della coop Ises -come detto, scritto e dichiarato più volte dal sindaco- di concedere il centro alla coop in quanto «l’amministrazione ne era a conoscenza da tempo»; 4) Anche il canone di affitto (10mila euro mensili, peraltro manco versati del tutto, quindi danno su danno) è stato calcolato male «in quanto» -continua l’Anac- «non si teneva conto che l’affidatario svolge un servizio che produce utilità economiche»; 5) Non è affatto vero che non si sapesse dove collocare i pazienti -la balla delle balle- perché «in base alla documentazione fornita dall’Asl, quest’ultima già dal 2015 aveva ottenuto la disponibilità di diversi centri (a conferma della nostra teoria del “sequestro di incapaci”, ndr)…circostanza che risulta in contrasto con quanto dichiarato dall’ente»; 6) Nel carteggio tra Comune e coop Ises si continuava a scrivere e a dare atto dell’impossibilità di ricollocare i pazienti e anche il commissario liquidatore (l’avvocato Angela Innocente) aggiungeva di «aver chiesto più volte all’Asl la ricollocazione degli stessi ma agli atti non risulta alcun documento che comprovi tale circostanza». Quindi, la riprova della prova; 7) E’ la stessa Asl, poi, a ribadire all’Anac che non essendovi titolo giuridico per il mantenimento dei pazienti in quanto l’accreditamento dell’Ises col Ssr era inesistente (qui lo si definisce “sospeso” non essendo scesi nel merito della natura del provvedimento, ma è aspetto ora inconferente) si era preoccupata di trovare posti per i pazienti, confermando così che quella fornita da Comune e società cooperativa era un’autentica balla; 8) Scrive infatti Cantone che «la presunta esigenza di continuità terapeutica per i pazienti confligge in ogni caso con la riferita carenza in capo alla stessa coop dei requisiti necessari per lo svolgimento del servizio con onere a carico del Ssn….generando sulla base di un inesistente presupposto, dichiarato indefettibile ed urgente di tutela della salute dei pazienti, prima ricoverati in altra struttura, per i quali l’Asl di riferimento aveva comunque dato disponibilità alla ricollocazione». Se valeva per l’Ises in liquidazione, figuriamoci quanto possa oggi valere per la Nuova Ises, che pretende dalla Regione un accreditamento che non c’è più da tempo, anzi non c’è mai stato veramente e che nessuna cessione di ramo d’azienda poteva legittimare in quanto non si può cedere –se non truffando- una cosa di cui non si dispone.
L’Anac, in pratica, non potendo esprimersi in volgare ha elegantemente detto che quella dei pazienti, delle famiglie e di non si sa cosa ancora, era una semplice scusa per far altro: cosa precisamente, lo sta accertando la magistratura. Che da oggi avrà una ragione in meno per «studiare» il caso.
Da queste parti, lo diciamo da anni.