Esistono momenti in cui ti ritrovi a ringraziare Dio, la sorte o qualche persona speciale per il fatto che nella tua città, o nel piccolo centro dove risiedi, esista un ospedale: zoppicante, non sempre con l’atout da clinica svizzera o con standard di efficienza lombardo-veneta ma pur sempre un ospedale che può salvarti la vita in qualche caso e risolverti problemi seri in molti altri. Quando, poi, nello stesso ospedale ti imbatti pure in un reparto che sembra funzionare, che squaderna lavoratori e maestranze di livello spesso impensato, allora il richiamato ringraziamento iniziale si fa quasi d’obbligo.
Prendi l’ortopedia del “ Maria santissima addolorata” di Eboli: lo ricordi sotto una luce diversa, pensi alle interminabili liste d’attesa o alle giornate trascorse su algide panchine in attesa di una visita di ambulatorio, e ricordi pure molto altro, spesso irriferibile e altrettanto spesso oggetto di ricorrenti denunce pubbliche.
Ora, se è vero che i problemi non spariscono mai completamente e se è vero che certe incrostazioni resistono ad intense pulizie, è anche vero che l’aria che si respira da un po’ di tempo a questa parte disegna un panorama molto tranquillizzante: addetti alle pulizie e portantini vari gentili ed efficienti, infermieri che lavorano seriamente (un dato che non bisogna dare mai per scontato, anzi), dirigenti e caposala che sembrano fare il proprio dovere scandendo ritmi ed impegni, medici qualificati e pronti a fare quel che possono e, soprattutto, devono. Certo, il “paraculo” lo trovi sempre, così come a volte trovi l’infermiere che non gradisce esser svegliato durante il turno di notte (ma quando li beccate a dormire perché non li licenziate? Ah, i sindacati…) o l’operatrice scostante che a volte dimentica che lì è un posto di sofferenza e che lo stipendio che tutti noi paghiamo in suo favore bisogna meritarselo tutto, ma la perfezione su questa terra non esiste: però, negli ultimi tempi capisci che molte cose stanno andando nella giusta direzione.
Merito, stavolta, della direzione aziendale che ha concentrato in reparto evidenti energie e merito sia del nuovo primario, Antonio Cappelli, che dei suoi colleghi. Tra i quali si segnala senza alcuna ombra di dubbio il chirurgo ortopedico Vincenzo Lania, una sorta di celebrità –diciamo- per numerosi pazienti che ne hanno reso testimonianza. Poco meno che cinquantenne, calabrese dal tipico tratto duro e fiero (aggiungeremmo cocciuto per chi abbia avuto frequentazioni calabre sicuramente riconoscibili), il dottor Lania corre veloce come un treno: e questo, presumiamo, non sempre incrocia il gradimento di chi viveva secondo altre logiche. Ma è la vita, nulla di strano, succede ovunque: il tema è tenere la barra ferma al centro. Si ricordano i tempi in cui per una protesi dell’anca, del femore o del ginocchio si attendevano mesi, di quando le cartelle cliniche erano messe a prender polvere, di estenuanti attese per un intervento o altro: raccontano oggi, invece, che da quando «è arrivato ‘sto calabrese» si corra spediti, gli interventi abbiano tempi più o meno civili e, soprattutto, la qualità degli stessi faccia salire verso l’alto il diagramma del gradimento.
Durerà? Se il «sistema» non farà in modo di far fuggire qualcuno, come spesso capita in molti ospedali (non necessariamente meridionali) ecco che all’ospedale di Eboli almeno i “fabbri” della chirurgia potranno sperare di continuare a dare un senso alla loro professione. E alla loro vita, forse.
pierre_ dal quotidiano “Le Cronache” del 10 giugno 2018