La differenza con tanti altri casi simili è che stavolta i magistrati hanno ipotizzato, oltre all’assenteismo e alla truffa, anche il reato di associazione a delinquere. Sono dieci i dipendenti pubblici raggiunti ieri da un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari, più un undicesimo solo denunciato a piede libero. Tra loro anche quattro Lsu, i cosiddetti “lavoratori socialmente utili”: dovevano essere sul posto di lavoro ma si erano (sarebbero) accordati per scansare le giornate regolarmente retribuite dallo stato andandosene in giro per affari propri. Come passeggiare, fare sport o pedalare in bici sul lungomare di Licola, zona marina di Pozzuoli, un tempo area privilegiata per svernamenti e rilassamenti vari degli antichi romani: usanza che, a quanto pare, si tramanda ancora oggi, almeno stando alle risultanze di una lunga indagine al cui esito i pubblici ministeri della procura di Napoli non hanno potuto far altro che prendere i relativi provvedimenti.
Truffa in danno della pubblica amministrazione, allontanamento ingiustificato dal posto di lavoro e, appunto, associazione a delinquere finalizzata al compimento di quei reati. Un aggravamento delle «rituali» contestazioni in numerosi casi analoghi diffusi sul territorio che per sette tra i dipendenti finiti nella rete (i restanti tre dovranno rispondere solo di truffa aggravata e continuata) rappresenterà di certo un ostacolo in più. In effetti le «prove» dell’associazione risiederebbero nella circostanza che gli impiegati del multipiano lasciavano i propri badge, cioè i vecchi cartellini marcatempo, all’interno dello stesso cassetto di una scrivania e a turno provvedevano a timbrarli per gli altri. Uno per tutti, insomma, e tutti sul lungomare di Licola a godersi iodio e sole puteolani. Eccola l’associazione a delinquere, vale a dire l’accordo -tra almeno tre persone- per il compimento di un reato specifico, cioè senza limitarsi a compierlo di volta in volta, che è fattispecie giuridica diversa, certamente più lieve. L’indagine dei carabinieri della compagnia di Pozzuoli è nata nel 2015 ed è durata per tutto il 2016, ieri mattina alle cinque sono scattate poi le misure cautelari: eppure i media sono da qualche anno inondati da casi di questo tipo, ciononostante l’andazzo era continuato. C’era chi andava in bici o a fare jogging sul lungomare “Sandro Pertini”, chi girovagava per il classico shopping in orario di lavoro, chi restava a casa e chi addirittura se ne andava in vacanza contando sull’appoggio dei complici che provvedevano a strisciargli il tesserino. Ad incastrarli una serie di immagini filmate dai carabinieri che non lascerebbero scampo agli indagati: nei video si vedono con chiarezza i locali del parcheggio pubblico privi di addetti durante la giornata lavorativa, ripresi poi ognuno in proprie faccende affaccendato.
Oltre alla procura della repubblica di Napoli è stata attivata anche la procura generale presso la Corte dei conti che ha già avviato le procedure per quantificare il danno erariale e procedere con il recupero delle somme tecnicamente truffate allo stato.
Nei guai sono finiti Vincenzo Di Bonito, 65 anni, ex funzionario in pensione ed ex responsabile del parcheggio multipiano; Antonio Boccia, 62 anni; Antonio Mirabella, 60 anni; Mario Varriale, 60 anni; Antonio Sigillo, 55 anni; Agostino Giugnarelli, 49 anni; Antonio Conte, 59 anni (tutti dipendenti comunali); Salvatore Esposito, 57 anni; Antonio Prezzini, 54 anni e Antonio Pugliese, 57 anni.
In Italia non si contano più gli episodi di questo tipo e non sempre, però, a valle dell’inchiesta ci si ritrova come si era partiti. Un caso emblematico, sempre in Campania: la maxi indagine della procura della repubblica di Salerno di due anni fa che scoprì circa 700 assenteisti nell’azienda ospedaliera “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”, numeri impressionanti di una vicenda che per settimane fu al centro dell’interesse mediatico, tra talk show, Tg e puntate speciali con le immagini “clou” di una coppia di dipendenti amanti che se ne andava in riva al mare lasciando i reparti ospedalieri monchi. Proprio nei giorni scorsi sono giunte altre decine di assoluzioni per quegli stessi impiegati: ciò che appariva accertato inizialmente in quel caso si è poi sgonfiato agli occhi dei giudici. Un rischio onnipresente, in qualsiasi inchiesta. Vedremo.
dal quotidiano “Libero” del 10 aprile 2018