SaluteEpatite C: al Sud molti non sanno di averla. E’ record in Campania

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Nuovo record della Campania: in alcune aree della regione la percentuale di persone infettate dal virus della Epatite C (Hcv) è di circa nove punti superiore alla media italiana, con picchi del 12% rispetto al 3% del resto della nazione. Circa centomila persone portatrici del virus, un dato che in prospettiva statistica indica soglie di rischio elevate per tutti gli altri.

Maggiore promiscuità sessuale, infezioni da ferri chirurgici poco igienici, odontoiatri maldestri, trasfusioni fuori controllo? Potrebbe essere, certa è soprattutto una cosa, come ci dicono i dati presentati in due convegni di alta specializzazione svoltisi a Napoli a novembre, “Hepatology in motion: research and utilities” organizzato dalla Federico II e dall’università di Palermo e “L’epatologia nel III millennio”, promosso dal Dipartimento di Medicina Interna e dal Centro di Epatologia dell’ospedale evangelico Villa Betania: l’ignoranza -in senso letterale- delle persone, vale a dire la maggior parte dei contagiati non sa di esserlo, specie i più anziani, con tutto quel che il dato implica in termini di trasmissione e diffusione. Non solo: ma pure quando la circostanza è nota si registra da un lato un debole accesso alle cure, dall’altro una notevole discontinuità dei trattamenti. Stesso scenario anche in Puglia, per ragioni sostanzialmente analoghe. Uno dei primi allarmi sull’argomento si registrò agli inizi dei ‘90 durante un convegno presso il Centro “Sanatrix” di Eboli (Sa), da allora di acqua ne è passata sotto i ponti.
Conseguenza generalizzata attuale è l’aumento della mortalità per cirrosi epatica e carcinoma al fegato. C’è una ragione sanitaria ma anche una di natura socio-demografica in quanto con l’avanzare dell’immigrazione le previsioni non sono semplici. Ma sono i numeri a parlare più di tutto: l’impiego delle nuove terapie e l’impegno dei clinici e delle istituzioni, negli ultimi tre anni sono stati guariti 97.300 pazienti in Italia, di cui quasi 13.000 in Campania. Le percentuali di successo per la cura dell’Hcv raggiunge il 98%.
Il punto è come abbattere quel diabolico gap tra il resto del territorio e la seconda regione italiana.
A livello generale l’Organizzazione mondiale della sanità ha lanciato il programma “Towards the elimination of epatitis B e C by 2030”, con l’obiettivo di assicurare nei prossimi 13 anni la terapia dell’Hbv (il virus dell’epatite B) e dell’Hcv all’80% dei pazienti, prevedendo una riduzione del 90% delle nuove infezioni e del 65% del tasso di mortalità entro il 2030. Ha spiegato Ernesto Claar, presidente dell’Aigo Campania (Associazione gastroenterologi ospedalieri) che oggi «grazie al Piano di eradicazione dell’infezione da Hcv, l’Agenzia Italiana del farmaco consente il trattamento con i nuovi farmaci ad azione antivirale diretta a tutti i pazienti, indipendentemente dalla gravità della malattia. Il 75% dei soggetti con infezione può presentare manifestazioni extraepatiche quali diabete, demenza, problemi cardiovascolari, danno renale ed ematologico».
Nel convegno congiunto Napoli-Palermo, i professori Nicola Caporaso, Antonio Craxì e la segreteria scientifica diretta da Filomena Morisco, gli epatologi hanno poi fatto il punto sulle epatiti virali, la cirrosi epatica e la steatosi epatica non alcolica, cioè il cosiddetto “fegato grasso”: «Essendo state eliminate tutte le restrizioni (normative, ndr) di accesso ai nuovi e straordinari farmaci anti-epatite C puntiamo all’eliminazione di questa infezione dal nostro Paese in 3 anni. Sono Puglia e Campania le regioni che hanno trattato più soggetti rispetto al numero totale di pazienti, la maggior parte con cirrosi. Guariti (tra virgolette, ndr) oltre il 95% dei soggetti trattati, con scomparsa totale della malattia. “Ed è un successo dei medici italiani – conclude il prof Caporaso- con il rammarico di aver cominciato tardi ad utilizzare gli ultimi farmaci».
dal quotidiano “Libero” del 12 dicembre 2017

 

Peppe Rinaldi

Giornalista

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