È dal sapore della pasta e patate offerta a pranzo che capisci di essere dentro una vera casa, abitata da una vera famiglia, circondato da vere persone. Non sei in una struttura per l’accoglienza degli anziani soli come ce ne sono in giro tante, pur tra tante valorose. Sei ad Acerra, nord est di Napoli, nel rione “aret’ o’ carcer” (dietro al carcere) come sbrigativamente e magnificamente il dialetto napoletano a volte sintetizza un concetto articolato, anche geografico, con poche parole.
Pieno centro cittadino, pochi metri dal duomo, un dedalo di viuzze che si irradia perpendicolarmente al corso principale, area ed atmosfera popolari. Nel senso bello del termine. Alcune centinaia di passi dopo il varco di un ampio portone che ricorda gli ingressi delle vecchie case di ringhiera diffuse nel nord Italia e arrivi dinanzi ad un villino a due piani di più recente fattura, ben tenuto, ospitale già al primo impatto.
Al piano rialzato, in uno spazioso ed ordinato appartamento per uso abitativo, ci si “fa compagnia”: e potremmo già fermarci qui se dovessimo riassumere il senso della missione che una cooperativa sociale del posto ha scelto per stare al mondo. Compagnia, appunto, quel che ogni essere umano cerca, anche quando non lo sa, anche quando non lo vuole, specie quando di anni ne sono passati tanti, di vite che hanno incrociato altre vite ne sono state vissute molte, di ricordi, lacrime, gioie e dolori ne sono stati provati all’infinito. “Facciamoci compagnia” è infatti l’indovinato slogan pensato dal presidente della cooperativa “La Fenice”, Stefan Gamvra, per la realizzazione di un progetto di contrasto alla solitudine degli anziani che superi i confini tradizionali del settore, spesso diviso tra “discariche” vere e proprie e strutture asettiche che ti fanno sentire sulla pelle la repentina medicalizzazione del tuo problema. Qui, al contrario, ti accolgono perché sanno che la croce vera non è (solo) il diabete che ti consuma giorno per giorno, non lo spietato Alzheimer che ti annulla o il cuore che non regge insieme alle ossa o alla vista e neppure il pannolone che nessun infermiere o badante ti cambierà mai come una madre, un padre, una moglie o una figlia. Sanno invece che ciò che più ti soffoca nella cosiddetta terza età è la solitudine, la più implacabile di tutte, maggiore di quella che vivi anche nella seconda e, volendo, perfino nella prima. Perciò quel “facciamoci compagnia” convince subito, proiettandoti in un mondo nuovo, lontano -per quanto possibile- dalla disperazione tipica di certi ambienti.
Questo progetto è poi diventato lavoro per diversi operatori e volontari, il che ne raddoppierebbe il valore se si considera il trend di mercato che, impietosamente, fotografa la nostra vita come una progressiva geriatrizzazione globale. Anche in quel Mezzogiorno d’Italia un tempo prolifico e, dunque, moltiplicatore di energie.
“La nostra finalità è realizzare iniziative volte a contrastare qualsiasi forma di negazione dei diritti nei confronti degli anziani” -dice a Libero il presidente Stefan, 28 anni ed idee molto chiare, al vertice della coop sorta tre anni fa- “offrendo servizi che spaziano dalla semplice accoglienza residenziale a corsi informativi e formativi. Vivere da soli significa accollarsi costi eccessivi, c’è il rischio degli incidenti domestici, delle truffe, per non dire della solitudine”. Insomma, non è una casa di riposo in senso classico, qui non trovi camici bianchi, corsie, persone malate o rimbambite da farmaci e terapie particolari: certo, qualche pillola ad orario bisogna prenderla, le analisi di laboratorio vanno fatte, i livelli della salute vanno tenuti sotto controllo, la dieta può o deve variare a seconda delle necessità di ognuno, ma una cosa è farlo da soli, specie se dimenticati in qualche abitazione da figli (quando ci sono) troppo assorbiti dalla propria vita, un’altra è condividere analoghe esigenze in un contesto in cui parlano tutti la stessa lingua.
Ecco che allora, superate le solite, gigantesche mura delle varie burocrazie, il progetto si fa realtà e una casa come tante si trasforma in un unico corpo familiare dove al momento quattro persone – i posti disponibili sono sette- hanno ritrovato un punto fermo, un riferimento, un luogo in cui il tempo che scorre riacquista un senso minimo.
C’è la storia di Raffaele, artigiano tuttofare, allegro ed ironico, dalle mille traversie personali che l’avevano espulso dalla vita civile e che qui ha ritrovato ritmo e calore della normalità: ha la sua stanza dove costruisce oggetti, raffina pietre e le assembla per creare collane, bracciali e molto altro. Vorrebbe avere un posto più grande e spazioso per poter fare di più e sentirsi nuovamente l’uomo che un tempo fu, ma dice chiaramente che quanto ha ritrovato in questa casa di Acerra è già tanto per chi pensava di finire i propri giorni tra la povertà e l’oblio.
C’è Pasquale, un passato da tennista, che in un’altra stanza dove oggi vive ha appeso alla parete del letto la Wilson che usava sulla terra battuta prima che la sua vita prendesse una piega improvvisa, la solita, un lavoro perso, un matrimonio naufragato, l’abbandono di tutti, i soldi che non bastano più, il lento scivolare nel buio della solitudine, il calvario della Caritas comune a tanti. Dice di essere rinato, la china la sta risalendo grazie a quel “facciamoci compagnia” che vale più di cento terapie all’avanguardia e mille sedute socio-psicologiche in carta bollata.
Parli poi con le “nonnine” Maria Cristina e Vittoria e capisci che i tuoi problemi non sono niente, c’è sempre un altro mondo dietro a quello che vedi o vivi ogni giorno. “Appena mi hanno portata a visitare la casa ho capito che dovevo rimanere” – ti spiega Maria Cristina, 72 anni, napoletana di Capodichino, sguardo apparentemente lontano ma invece presente con istantanei sorrisi ad ogni battuta di Raffaele, impegnato in continui e commoventi botta e risposta con Vittoria, simpaticissima signora adornata di bracciale e collana di giovanile fattura e che non smette di parlare dal momento in cui il marito l’accompagna al mattino fino a quando passa a riprenderla la sera. Il “nonno parking”, infatti, è una delle modalità di esercizio dell’attività cooperativistica della Fenice, e quando Libero fa notare che, stavolta, il nome scelto non è tra i più felici, Stefan subito raccoglie e rilancia: “Hai ragione, infatti prossimamente lo chiameremo in un altro modo”. Fermo restando che ciò che conta davvero, alla fine, è il merito.
Quando all’ora di pranzo poi ti accomodi con loro a tavola, torni al sapore di quella pasta e patate cucinata dalla madre di Stefan, la signora Emilia Piscopo, coadiuvata dalla volontaria Rosa Di Nardo, che ti proietta in una dimensione di vera e propria famiglia: sembra di essere andati a trovare una vecchia zia che abita lontano, che ti accoglie in casa per pranzare con gli altri membri del nucleo familiare, come si trattasse di una visita di piacere o cortesia. Un esperimento così ha trovato le porte aperte della Regione Campania che ha iscritto la coop nell’elenco degli enti accreditati e, soprattutto, nel comune di Acerra dove, con ogni evidenza, c’è ancora qualcuno che scommette su cose diverse e, a loro modo, innovative.
“La coabitazione” -oggi detta co-housing in ossequio allo sbrigativo vocabolario contemporaneo, ndr- “è una pratica abitativa nata in Danimarca a metà degli anni 60” -spiega a Libero il presidente della Fenice- dove i singoli soggetti condividono spese ed oneri ma anche spazi comuni, concentrando gli interventi medici, di assistenza e pulizia. In Italia la maggior parte degli anziani vive in case spesso troppo grandi per loro: poco meno della metà (il 46% circa) percepisce una pensione inferiore ai mille euro mensili, praticamente dei semi-indigenti che abitano in case, diciamo, da benestanti. Tramite domanda l’anziano parteciperà gratuitamente ad una giornata di prova nella nostra casa e alla fine di essa sceglierà se continuare a vivere con gli altri anziani del progetto”. E poi, gli chiediamo? “In caso favorevole ci occuperemo noi della parte burocratica con convenzione comunale nel caso la persona non superi un certo reddito annuale”.
Oltre ai servizi classici (assistenza psicologica, alla nutrizione, estetica e cura del corpo, menù a misura dello stato di salute del singolo) gli ospiti vengono dotati di un braccialetto Gps per i casi di smarrimento tipici in soggetti particolari avanti con gli anni. “Lo facciamo perché i nostri nonni possano uscire in autonomia ed intervenire in caso di emergenza localizzandoli immediatamente. In casa, in ogni comodino accanto al letto c’è un telecomando col quale l’ospite può chiamare un operatore secondo le regole della normativa sulla sicurezza. Gli stessi operatori sono dotati a loro volta di un telecomando con radiofrequenza in convenzione con ambulanza e vigilanza privata per soccorsi ed interventi tempestivi”. Poi c’è molto altro, corsi di ballo per la terza età, corsi di informatica, pittura, gite e attività ludico-ricreative.
Avete presente il film “La teoria svedese dell’amore” di Eric Gandini, che racconta, tra l’altro, di come e quanti anziani muoiano in Svezia da soli, dimenticati da tutti e scoperti dopo mesi e mesi solo casualmente?
Bene, da Acerra arrivano contromisure “latine” che pian piano andranno a spargersi su tutto il nostro territorio nazionale. Vaste programme, si direbbe in altri ambiti: ma non impossibile.
“Le storie di Libero”_ lunedì 16 ottobre