Se a soli sedici anni sia “un elemento di spicco del clan”, espressione spesso elargita con generosità, è ancora tutto da vedere. Che, però, il ragazzino finito ieri in manette nel napoletano abbia prima pensato e poi agito come un camorrista bell’e finito, sembrano non esserci dubbi: almeno stando alle risultanze investigative dei carabinieri di Castello di Cisterna, che hanno dato esecuzione ad un ordine di custodia cautelare emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale dei minori di Napoli.
Accuse, in un certo senso, classiche negli scenari sanguinari della geografia pulviscolare della malavita organizzata, il tratto distintivo di quella campana: duplice omicidio aggravato dalla finalità mafiosa, porto e detenzione abusiva di armi da guerra.
Il contesto è quello della progressiva scissione interna al clan Amato-Pagano, tra i più influenti della zona. Si tratta del figlio di un boss detenuto da tempo, uno dei tanti, la madre invece è stata arrestata nei mesi scorsi perché è risultata esser lei a dirigere il clan in assenza del marito, anche questo un elemento tipico dell’universo criminale, non più solo meridionale, come dimostrano decine di inchieste giudiziarie in altre zone d’Italia.
Lui, il cosiddetto “baby killer”, è stato arrestato a Melito di Napoli per aver ideato ed organizzato l’omicidio di due affiliati al suo clan che s’erano messi in testa di muoversi in autonomia. C’era da dare l’esempio, fargliela pagare, scoraggiare nuovi ammutinamenti: e il metodo di soluzione non poteva che essere uno. Così, insieme a due complici maggiorenni, ideò il blitz: solo che parliamo dello scorso giugno 2016, quando cioè il ragazzino di anni ne aveva soltanto quindici ma già in grado, secondo quanto avrebbero accertato i militari dell’Arma, di assumere il duplice ruolo di mandante e autore dell’esecuzione di due scissionisti, consumata in un appartamento al quarto piano di un palazzo di viale Giulio Cesare a Melito il 20 giugno dell’anno passato.
Quella mattina le forze dell’ordine, allertate dopo l’agguato, furono costrette a chiamare i vigili del fuoco perché l’abitazione era chiusa dall’interno. Una volta entrati trovarono, nell’ingresso, Alessandro Laperuta, 32 anni, proprietario della casa, ancora agonizzante. Sul ballatoio, disteso nella solita pozza di sangue, c’era invece Mohamed Nuvo, 30 anni, originario della Tunisia, freddato da un solo colpo di pistola alla testa.
Nella tarda serata dello stesso giorno del duplice omicidio, fu però commesso l’“errore” fatale, sfociato nell’epilogo di ieri: all’ospedale si presentò un quindicenne con un colpo di pistola conficcato nell’addome ma che non aveva leso organi vitali. Il suo cognome -tuttora tutelato dalle leggi sui minorenni- era uno di quelli pesanti tra il giro delle famiglie locali, impossibile non notare la coincidenza. Di qui le indagini, fino all’arresto di ieri. Espletata ogni formalità, il ragazzino si trova ora rinchiuso in un centro di accoglienza per minori ai Colli Aminei.
dal quotidiano “Libero” del 25 maggio 2017