Crolla tutto nel mondo, tranne la disinvoltura con cui le persone, cambiando ruolo, cambiano pure idea. Prendi il caso di Pompei, il sito archeologico più visitato al mondo nonostante la ricorrente sciatteria polemica tra i vari protagonisti della scena, istituzioni comprese: ieri è crollato un altro metro quadrato e mezzo di muretto, probabilmente sotto i colpi dell’incuria (o del tempo?), ma a chiedere le dimissioni del ministro della Cultura nessuno sembra essersi affrettato.
Soprattutto Dario Franceschini che le dimissioni da ministro potrebbe solo darle e non chiederle, dal momento che “appena” sette anni fa era proprio lui a farlo in veste di capogruppo Pd alla Camera rivolgendosi all’allora responsabile del dicastero, il mite Sandro Bondi. Ma a quel tempo bisognava uccidere il Caimano e tutto quel che lo rappresentava. Ci sono riusciti.
Crollano pezzi delle radici profonde della nostra (residua) civiltà ma succede anche di peggio: che i sindacati di categoria della Sovrintendenza di Pompei convochino la miliardesima assemblea durante l’orario di visita degli scavi, rischiando di tenere fuori incolpevoli turisti, in fondo loro veri datori di lavoro. Massimo Osanna, sovrintendente di lungo corso, stavolta apre i cancelli e fa entrare i visitatori. Apriti cielo. Sembra quasi più grave della caduta del muretto della Casa del Pressorio di Terracotta, una domus chiusa però al pubblico in via dell’Abbondanza al civico 22 (Regio I). I frammenti sono stati recuperati immediatamente.
La scoperta è stata fatta dai custodi durante il rituale giro di perlustrazione del sito. Sarebbe un crollo “fisiologico”, spiega Osanna. “Tutti gli episodi di cedimento che sono stati registrati negli ultimi anni, si sono verificati sempre in aree nelle quali nessun intervento era ancora partito” aggiunge il direttore generale, stimolando la domanda sul perché non siano stati fatti visti i milioni di euro che lo stato ha messo nel “Grande Progetto Pompei”.E qui interviene l’altra faccia della medesima medaglia della palude burocratica tipica del Belpaese: l’immancabile ricorso al Tar di una ditta esclusa da una gara di appalto per un lotto delle opere di restauro e messa in sicurezza del sito. Pur legittimo (ci sarebbero anche questioni aperte relative all’utilizzo di alcuni materiali da parte delle imprese) un ricorso alla giustizia in Italia è sempre quel che è. Infatti i muri crollano, come il Pressorio scoperto ieri a Pompei. A questo si aggiunge lo scontro con i sindacati di categoria del posto, trasformatosi già in carta bollata attraverso una denuncia ai carabinieri nei confronti del sovrintendente che l’altro giorno ha osato aprire le porte degli scavi al pubblico mentre i “lavoratori” erano in assemblea. Una storia che si ripete ciclicamente.
Il capogruppo Pd in Regione Campania, Mario Casillo, pur non chiedendo le dimissioni del ministro della Cultura, definisce l’iniziativa dei sindacalisti “strumentale e fuori dal tempo. Al soprintendente esprimo la mia vicinanza ad Osanna, il quale ha applicato il decreto Franceschini che inserisce i servizi museali tra quelli essenziali da garantire al pubblico. Perciò mi appare una forzatura, considerando che occorre tutelare in primis i diritti dei turisti, alcuni dei quali compiono migliaia di chilometri per venire in Campania”.
dal quotidiano “Libero” del 28 gennaio 2017