CronacheCoppia campana arrestata per traffico di armi e mezzi con Iran e Libia

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Elicotteri, eliambulanze, fucili d’assalto, missili terra-aria o anticarro, munizioni, materiale dual use, cioe’ reversibile per impieghi militari. Merce di fabbricazione dell’ex blocco sovietico, per ‘clienti’ in Libia o Iran, paesi sotto embargo internazionale e nei quali non poteva essere esportato nulla senza autorizzazioni ministeriali. C’e’ tutto questo nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che ha portato all’emissione di quattro provvedimenti di fermo per traffico internazionale di armi aggravato dall’attivita’ transnazionale e 10 perquisizioni eseguiti dalla Guardia di finanza di Venezia tra il Salernitano, il Napoletano, la provincia dell’Aquila e quella di Roma.


Tre le persone fermate. Una di loro non e’ nuova alle inchieste giudiziarie, l’ad della Societa’ Italiana Elicotteri Andrea Pardi, romano, 51 anni, gia’ coinvolto in una indagine su armi e mercenari tra Italia e Somalia ma anche in una aggressione il 7 ottobre 2015 a un giornalista della trasmissione ‘Report’. Poi una coppia, Mario Di Leva, 69 anni, e Annamaria Fontana, 63 anni, coniugi di San Giorgio a Cremano, lui convertito all’Islam con il nome di Jaafar, nel mirino dei pm anche per una sospetta radicalizzazione. E, sempre nell’ipotesi investigativa, le armi fornite dalla coppia a ‘clienti’ esteri potrebbero avere come destinatario finale un gruppo iraniano vicino all’Isis. I due, infatti, hanno rapporti con il mondo politico e religioso in Iran e almeno in un caso, dicono gli inquirenti, sono stati protagonisti della triangolazione che ha portato illegalmente armi da guerra in quel Paese attraverso societa’ panamensi.

Inoltre, un sms decrittato lega le loro figure al caso dei quattro italiani rapiti in Libia nel 2015: contatti telefonici in cui la coppia, riferendosi a persone gia’ incontrate qualche tempo prima, faceva intendere che si trattava proprio dei rapitori libici. Il sequestro fini’ tragicamente nel marzo 2016: due degli ostaggi, Fausto Piano e Salvatore Failla, separati dai compagni di prigionia, furono uccisi, mentre gli altri due, Gino Pollicandro e Filippo Calcagno, riuscirono a liberarsi e mettersi in salvo. Anche il figlio della coppia napoletana e’ indagato nell’inchiesta condotta dai pm partenopei. Il quarto destinatario del provvedimento di fermo, Mohamed Ali Shawish, cittadino libico, e’ sfuggito alla cattura. Un’altra societa’ con sede legale in Ucraina, ma titolari italiani, avrebbe poi venduto armi e munizioni alla Libia, sempre con escamotage messi a punto per non far transitare la merce nel nostro paese.

L’inchiesta denominata ‘Italian Job’ e’ nata nel 2015 come costola di una indagine che ruotava intorno alla figura di Francesco Chianese, un imprenditore che fino al 2016, quando fu arrestato, era sconosciuto alle cronache giudiziarie, ma per gli inquirenti vicino al clan dei Casalesi, in particolare al boss Michele Zagaria. Nel 2013, infatti, fu ascoltata dalla Dda partenopea una telefonata tra Chianese, soprannominato ”o santulillo’, che viveva a Parete, e un estremista islamico. Chianese avrebbe dovuto fare l’istruttore militare in Africa e il clan avrebbe dovuto vendere armi nel Continente Nero. Le armi del clan, di fabbricazione italiana, sarebbero state vendute in Nigeria, Somalia, Sudan, Libia e Iran. Un ‘mercato’ aperto da contatti tra la mala del Brenta con i camorristi casertani.
Agi

 

Redazione Eolopress

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