E’ una delle eccellenze della pediatria e della neonatologia non soltanto del Mezzogiorno ma, in ossequio forse al proverbiale “Paradiso popolato da dèmoni” rappresentato dalla città che lo ospita, l’ospedale “Santobono” di Napoli si trova alle prese con carenze strutturali e di personale preoccupanti. Lo ha raccontato ieri l’edizione napoletana di Repubblica. Bambini sulle barelle, mamme accovacciate in ogni angolo, pochi infermieri, addirittura scarseggerebbero gli erogatori per l’ossigeno, l’Abc per un reparto con un’utenza particolarmente delicata come i bambini.
La fotografia è stata scattata l’altra sera poco prima della mezzanotte nel polo pediatrico dell’azienda di rilievo nazionale: alle 23,15 si registrava la presenza di quarantatré bimbi ricoverati su ventuno posti letto ordinari disponibili, l’eccedenza veniva sistemata su venti barelle, soluzioni di fortuna ma necessarie. Ci siamo abituati agli anziani malati, spesso soli, nei Pronto Soccorso del momento distribuiti per il Paese, ci abitueremo anche ai bambini? Avere la sanità in regime commissariale non aiuta la seconda regione d’Italia a scansare questi problemi, che forse trovano origine proprio nei motivi che determinarono la sospensione della gestione in capo alla politica locale. In un certo senso. Si tratta di capire ore le risposte che il governo De Luca saprà offrire.
Sta di fatto che il quadro descritto dal reportage di Repubblica si spinge oltre e, nel registrare l’allarme di chi in ospedale vi lavora (medici e infermieri), indica pure che non si tratta di circostanze eccezionali: sarebbe così tutti i giorni, facile quindi immaginarne il contesto. Eppure il Santobono ne salva e ne cura di vite di bambini piccoli, piccolissimi e infinitamente piccoli come nell’eroica sezione della neonatologia, spesso nell’attenzione e nelle opere dell’arcivescovo Sepe, che a quest’ospedale dà non una ma due mani. Poi succede che serviva ossigeno per trentotto di questi piccoli pazienti e gli erogatori fossero soltanto ventisei, scatenando comprensibili allarmi e affanni un po’ in tutti. Ed è lì che ti chiedi perché “il Cardarelli faccia più notizia di un ospedale per bambini” incrociando lo sfogo di uno specialista della Pediatria, tra i reparti più affollati.
Salendo ai piani superiori, dove ci sono le varie specialistiche, le cose peggiorano. Leggi che i bambini in diversi casi li hanno addirittura sistemati nei passeggini. Barelle ovunque e mamme accovacciate su qualsiasi sgabello in qualsiasi centimetro quadrato libero pur di stare accanto ai figli. Ce ne sono tante napoletane ma molte anche di altre nazionalità, la sofferenza accomuna, specie se si tratta di bambini, per giunta malati. Un giro tra le pediatrie e le neonatologie offre di per sé scenari per tempre forti, figurarsi quando vi siano anche disagi in corsia, in ambulatorio o in sala operatoria. La privacy è davvero una sconosciuta, la folla di genitori e piccoli pazienti dovrebbe essere governata da soli quattro infermieri per turno, circa dieci bambini a testa e non è una classe d’asilo. Molto, moltissimo dipende dalla gestione delle strutture pediatriche dislocate sul territorio di competenza amministrativa dell’azienda sanitaria, quasi tutte già intasate, che ha determinato questa condizione per il Santobono: essere punto di riferimento quotidiano di un bacino non solo metropolitano (che già non è parva materia) ma dell’intera provincia di Napoli, qualcosa come trecentomila bambini, il dieci per cento di una popolazione che ne conta quasi tre milioni. E con gli ospedali “Annunziata” e “San Paolo” pure inadeguati a rispondere all’assalto di domanda e con i loro atavici problemi di struttura e personale, ecco che il Santobono va in sofferenza, a partire dai pazienti. Che aumentano ogni giorno di più man mano che il picco di influenza stagionale aumenta. “Per la metà di gennaio contiamo di subire l’assalto di mamme e bambini, ci sarà il solito ingolfamento di neonati colpiti da bronchiolite, malattia temibile e tipica di una certa fascia d’età” lamenta un anonimo medico, che aggiunge: “E’ una condizione che richiede ossigeno, c’è bisogno di una bocchetta che colleghi l’erogatore al paziente: è l’unica terapia salvavita”.
Preoccupazione comprensibile. Del resto, non manca chi dice apertamente: “Nessuno se la sentirebbe di mandar via un bambino con 39 di febbre e più di un sintomo respiratorio? Di certo nessuno tra noi medici”. Impossibile dar torto.
dal quotidiano “Libero” del 8 gennaio 2017