OmissisAssenteismo, record a Salerno: 600 in un solo ospedale

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In principio erano circa ottocento: oggi ne sono rimasti poco meno di seicento. Una legione di assenteisti, piccolo corpo d’armata di dipendenti pubblici decisi a scansarsi la trincea del lavoro in qualsiasi modo. Parliamo di infermieri, medici, sindacalisti, impiegati amministrativi e dei servizi, ausiliari, di livello alto e meno alto, tutti concentrati in un’unica struttura pubblica. Si tratta dell’azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, la seconda della Campania, da qualche mese impigliata nella rete della magistratura per le proporzioni dell’italico vizietto: numeri giganteschi, in valore assoluto e relativo.

 

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Precisamente, siamo passati da 766 assenteisti scoperti in un sol colpo ed indagati dalla procura della repubblica di Salerno, a «soli» 566, verso i quali si confermano quasi tutte le iniziali imputazioni nella richiesta di rinvio a giudizio: truffa in danno dello stato, cui va ad aggiungersi quella di associazione per delinquere. Non proprio una forzatura giuridica -l’associazione, per la sua intrinseca aleatorietà, è tra i reati più difficili da dimostrare- se si considera che il lavoro degli inquirenti, coordinati dal procuratore capo Corrado Lembo, ha consentito la scoperta di circa venti gruppi organizzati di dipendenti che si accordavano tra loro per timbrare il proprio badge (il cartellino marcatempo) a seconda delle esigenze. C’è anche il caso di un infermiere che il suo l’ha fatto timbrare ad altri ben cento volte: più di tre mesi di assenze remunerate, impossibili in qualsiasi azienda privata. 

Ora dovranno affrontare il processo, l’ha chiesto la procura dopo aver fatto ricontrollare al nucleo dei finanzieri una ad una le posizioni dei dipendenti, graziandone duecento per la tenuità delle contestazioni. Per gli altri nessuno sconto, dovranno vedersela in un’aula di tribunale, sarà un maxi-processo vero e proprio: mafiosi stavolta non ce ne saranno, sono tutti colletti bianchi cosiddetti. Che facevano un po’ come pareva loro secondo le risultanze investigative: chi, dopo aver timbrato, andava in riva al mare nella vicina costiera amalfitana per incontrare amanti o fidanzate, chi andava a farsi i fatti suoi in palestra, al mercato, al centro commerciale, ovunque. Lo scenario è identico, affratella tutti i «popoli» di quest’Italia, seppur qui si sia di molto esagerato. E’ significativa, infatti, la relazione istruita dalla ‘Commissione interna per le rilevazioni delle presenze in ospedale’, all’indomani del blitz della magistratura, che per alcuni aveva anche chiesto l’arresto senza, però, vederselo autorizzare dal gip: erano state conteggiate 80mila giornate di assenze, precisamente 79mila e 300; 8 mila casi di mancata correzione delle errate e/o omesse timbrature; 1300 casi di presenza nella stessa giornata di timbrature e giustificativo (ferie, permessi, malattie); 70 mila giornate di assenza non giustificata. Circostanze emerse da uno screening sui cartellini del personale dipendente svolto dal primo febbraio 2012 al 28 febbraio 2015. Numeri definiti record già dagli stessi commissari (dopo il blitz, non prima) e che tradotti in soldoni potrebbero prefigurare un danno erariale di diversi milioni di euro. Costi esorbitanti, scaricati sul resto della collettività, ricavati dall’immenso calderone della tassazione indiscriminata che ammorba il resto delle categorie produttive.

L’azienda ospedaliera, che per il solo 2014 -ultimo dato rinvenibile sul sito web ufficiale- ha pagato circa 180milioni di euro per 2796 dipendenti complessivi, sconta già un calo di almeno 700 ricoveri all’indomani dello scandalo, secondo i rilievi di alcuni sindacati: un guaio per un centro che ospita unità d’eccellenza medico-sanitaria. Che, probabilmente, sarebbero ancora più eccellenti se lavorassero tutti. Le posizioni disciplinari e i relativi licenziamenti degli assenteisti, sono sub iudice in commissioni ad hoc e procedure giudiziarie istituzionali, risentendo dell’operatività della vecchia normativa. Si vedrà.

(dal quotidiano “Libero” del 24 giugno 2016)

Peppe Rinaldi

Giornalista

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