Sarà la prima volta che condivideranno un palcoscenico teatrale, Enzo Moscato (foto in alto) e Massimo Andrei (foto in basso), protagonisti della nuova creazione scenica del drammaturgo partenopeo Grand’Estate, anche regista dell’allestimento, e avverrà, in prima assoluta, mercoledì 6 aprile 2016 alle ore 21.00 (repliche fino a domenica 10) al Teatro Nuovo di Napoli, sotto l’egida produttiva di Compagnia Teatrale Enzo Moscato/Casa del Contemporaneo.
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Ad affiancarli in scena ci saranno Giuseppe Affinito, Caterina Di Matteo, Gino Grossi, Francesco Moscato, Giancarlo Moscato, Peppe Moscato. La scena e i costumi sono a cura di Tata Barbalato, le musiche originali di Claudio Romano, il disegno luci di Cristina Donadio, le ricerche musicali di Teresa Di Monaco.
Il testo, dall’eloquente sottotitolo-didascalia Un delirio fantastorico, 1937/1960…ed oltre, è una babelica commedia umana con cui ripensare a Napoli e alla sua lingua leggendaria, dove l’autore risale a un prima e a un dopo la vicenda di Luparella, scritta nel 1983. Quella storia si svolge nel ‘43 in un bordello dei Quartieri Spagnoli, mentre quest’ultima insegue le storie anche delle altre prostitute di quel casino.
«Grand’Estate – scrive Moscato in una nota – è una strana pièce, la cui compiuta comprensione sfugge persino a me stesso, che, verosimilmente, devo esserne stato, in qualche modo, l’estensore. E’ un lungo tracciato di parole, con i piedi in una sorta di epilogante-teatrino-night club anni ’60 e il resto del corpo in una divertita/divertente soluzione mordace, avente i tratti del racconto plebeo-picaresco, linguisticamente in bilico tra il napoletano, l’italiano e un caleidoscopico ‘residuato’ di altri idiomi indo-europei».
Tra le due parti asimmetriche, in cui appare diviso il testo, non sembrano esserci legami, eccezion fatta per alcune figure della storia, come, ad esempio, le tre ineffabili ‘segnorine’ Poppina, Sciuscetta e Lattarella, le quali, di volta in volta, afferrano o si scambiano la parola, per narrare le loro esilaranti, incredibili avventure, per mare e per terra, nelle diverse epoche storiche del mondo.
L’assenza di un luogo definito conduce la narrazione dalle fasciste ‘case chiuse’ al pericoloso e aperto Mar Mediterraneo, fino al lazzaretto-confino-reclusorio dell’isola di Malta. Poi, vola, come per magia, nello sconfinato e arroventato cielo dell’ultimo conflitto mondiale, per tornare di nuovo a casa, verso dimore sconsolate come il rifugio dell’eterno ‘casino Bonacina’, sulle scale del vico Tiratoio, sopra i Quartieri a Napoli, o verso quel suo doppio squallido bordello, che è il Club ’78, all’epoca del boom economico italiano post-conflitto.
Qui la storia sembra chetarsi, guardando stupefatta al tormentato e spensierato viaggio compiuto per raggiungere quella meta.
Grand’Estate è un volo temporale, dal piglio satirico e comico, sulle figure sgangherate che vivono ai margini della vita sociale, come metafora di Napoli, e che, già dal titolo, denuncia il disprezzo dell’autore per le piccole estati di oggi, tristi e conformiste.