SALERNO- Vincitore della XIV° edizione (2014) del Premio Pascoli di poesia, Francesco Romanetti arriva al Teatro Antonio Ghirelli di Salerno con il suo libro “Non siamo noi che andremo all’inferno – ballate, tiritere e qualche poesia“ edito da Intra Moenia. Fra poesia e musica, dialoga con l’autore Maria Rosaria Greco, che cura il reading in collaborazione con la Fondazione Salerno Contemporanea.
Una selezione di ballate e poesie viene letta da Antonella Valitutti e Patrizia Di Martino che segue il coordinamento artistico. Alle chitarre Luciano Giannini e Lucio Angrisani. Stefano Piccolo è il direttore tecnico audio e luci.
E’ un libro abitato da innocenti e colpevoli, ladri e puttane, rom in rivolta e bambini dell’asilo, assassini e padri di famiglia. Ci troviamo un criminale di nome George W. Bush, le ragazze dell’Olgettina, Auschwitz, un lungo sogno di Hugo Chavez e l’inverno russo del 1942, mentre in più di una pagina compare perfino Gesù Cristo. Le poesie di Romanetti sono ancorate nella concretezza, sono sociali e politiche, soprattutto sono anticonvenzionali, animate da spirito inquieto e irriverente.
Roberto De Simone, nella sua prefazione, afferma che questi componimenti non vanno letti separatamente. C’è un flusso che percorre il libro dall’inizio alla fine, che si tiene lontano “dalle ingabbiature del tic-tac convenzionale della letteratura“.
FRANCESCO ROMANETTI è nato a Roma. Vive a Napoli da molti anni, dove fa il giornalista al “Mattino”. Si è occupato a lungo di questioni internazionali, scrivendo reportage da Medio Oriente, America Latina, Africa del Nord, Balcani, Europa, Cina e Stati Uniti. Ha insegnato Storia del Giornalismo all’Università Federico II di Napoli.
In particolare con questo libro è vincitore della XIV° edizione del Premio Pascoli di poesia, conferitogli a maggioranza con la seguente motivazione: “In equilibrio tra le forme del rap e il piglio robusto e battagliero di un aggiornato neo-majakowskismo, “Non siamo noi che andremo all’inferno” rivela una figura di autore lucidamente presente alla realtà e alle sue convulsioni.
L’«homo ignominiosus» della prima ballata è l’uomo dei nostri tristi giorni, la cui inarrestata involuzione ha acceso il sarcasmo e l’irriverenza aggressiva dell’autore. Finalmente nella storia della nostra ultima poesia appare un libro non ripiegato su forme convenute, che sbeffeggia il mondo e il suo pervertimento, aperto a un linguaggio-scrittura quanto mai dinamico, nel quale i ritmi e le parole diventano espressione di una poesia antagonistica al potere”.