Ventitré milioni di euro per una campagna pubblicitaria sono tanti o pochi? Dipende, ovviamente: a partire dalla ‘qualità’ dei fondi, dove la differenza tra danaro pubblico e privato non è irrilevante, per finire ai fatturati che enti o aziende consegnano annualmente ai bilanci. I 23 milioni circa appena citati rappresentano la cifra che la Regione Campania ha previsto per un piano di comunicazione e promozione territoriale legato alla «sventura» della così detta Terra dei Fuochi, sorta di ircocervo mediatico di taglia superiore alla realtà sin qui immaginata. E raccontata.
Allineandoci all’ormai imbattibile suggestione che rende perfino rischioso dubitare di questa -come di altre- vulgata (per dire: è di poche settimane fa una sentenza della Cassazione che delimita il terreno della discussione in un perimetro meno letterario) secondo cui sarebbe in corso una sorta di genocidio programmato della popolazione della Campania -per ora-, proviamo a capire se sia proporzionata la cifra di 23 milioni per promuovere l’immagine dei prodotti agricoli campani appannata dall’epopea di «pentiti» di camorra sul lastrico portati in palmo di mano.
La Cassa Depositi e Prestiti, per esempio, ne spende tre di milioni ogni anno per farsi conoscere: ma si tratta di un grigio apparato economico-burocratico che opera su scala nazionale (e non solo), che gestisce soldi che dovrebbero attrarne di altri, eppure il contrasto risalta. Per capirci meglio: ‘Expo Italia 2015’, evento di dimensione mondiale su cui si lavora ininterrottamente da quattro anni, di milioni per la comunicazione ha previsto di spenderne cinquanta. La Regione Campania, attraverso una delle società in house, ‘Sviluppo Campania’, fa sapere di averne stanziati circa 23 all’interno di una misura di sostegno al comparto agricolo-ambientale di circa 150 milioni di euro, fondi europei. Ogni cittadino campano, anche quelli lontani centinaia di chilometri dalla zona incriminata immersa nella sola conurbazione Napoli-Caserta (si calcola che l’area dell’Apocalisse copra meno dell’1% del territorio regionale, ma c’è già chi teorizza di estenderla anche ad altre aree) verserà 4,6 euro per diffondere il messaggio secondo cui mozzarelle, broccoli, insalate, pomodori, melanzane e miliardi di altre cose invidiate da sempre dal mondo intero, sono sane, senza scorie nucleari, tossiche, radioattive o altro. Ogni italiano ci metterà circa 35 centesimi, dal residente neonato a quello centenario.
Fino al 2008/2009 (quando cioè l’economia girava, oggi un po’ meno al netto delle movimentazioni di ‘mostri’ come Samsung, Google o Apple, dove gli zeri sono nove) un’azienda come la Bmw ha investito in Italia un budget oscillante dai 20 ai 40 milioni, la Toyota dai 40 ai 60, idem la Coca Cola e Sky, per non dire di Johnson & Johnson o Lvmh tra i 10 e i 30 e così via. C’è poi da considerare che è un problema di rapporto su Pil e/o fatturato: se si considera che Apple (anche un po’ a sorpresa) ha ridotto la percentuale di investimento pubblicitario allo 0,6% del fatturato, si capisce come 23 milioni su 150 diano un altro senso delle proporzioni. Una quota di queste risorse pubbliche sarà destinata alle società sportive più seguite, per facilitare la diffusione del messaggio: il piatto forte, va da sé, lo prenderà il Napoli Calcio (3,5 milioni).
Inevitabile qualche polemica, specie se si considera la ratio all’origine della decisione, la ‘specificità’ della Terra dei Fuochi. ‘Sviluppo Campania’ ha precisato che «Il supporto che la Regione ha immaginato di dare ai produttori agricoli e di prodotti agroalimentari è doverosamente concentrato sugli aspetti essenziali del problema che li ha afflitti: un inesatto e ingeneroso demarketing». Appunto.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 20 dicembre 2014)