C’è già chi dice che sia arte allo stato puro: non tanto per la perizia nella contraffazione quanto l’aver immaginato possibile, dopo averla realizzata davvero, piazzare una banconota da 300 euro, addirittura riuscendovi. Esiste qualcuno capace di farsi burlare così platealmente perché ignora che il taglio dei 300 euro neppure esiste? Evidentemente sì: e per scovarlo ci voleva un napoletano.
Luogo comune o film con Totò? Bufala giornalistica o classico “fake” -come si dice per i tarocchi nella Rete- da social network? Niente di tutto questo. Allo stato è l’algida “propalazione” della procura della repubblica di Napoli che ieri mattina ha spedito ben 56 falsari dietro le sbarre, chi a casa e chi in carcere, chi con divieto di dimora chi con obbligo di presentazione. Una vera e propria organizzazione criminale «capace di mantenere il controllo sul 90% della contraffazione mondiale delle banconote».
Una tipicità del luogo -siamo in Campania, Napoli- da sempre nota, un sistema che spazia da tempo immemore dalla moneta contraffatta alla marca da bollo, dalla polizza assicurativa al passaporto dai bolli vari a qualsiasi tipo di documento. Un universo specialistico senza pari, neppure insidiato dalla dozzinalità cinese che, anche in questo campo, sconta assenza di «tradizione».
“Napoli group”, questo è il nome dato dagli investigatori all’organizzazione sgominata dai carabinieri di Napoli e Caserta con la notifica dei provvedimenti cautelari emessi dal giudice per le indagini preliminari su richiesta di almeno quattro pm della procura coordinatori da procuratori aggiunto e capo, Beatrice e D’Angelo.
Un gruppo potente, monopolistico, nel senso che il mercato del falso sarebbe stato -almeno fino a ieri- controllato con scientifica capillarità. Immettendo grandi quantità di euro taroccati nel sistema legale e puntando tutto sull’alta specializzazione degli operatori e sulla qualità del prodotto. Al di là, poi, del “colore” che una notizia come l’aver rifilato in Germania una banconota da 300 euro innegabilmente conferisce, va precisato che la banda non avrebbe alcun legame con la criminalità organizzata, così dicono gli inquirenti: il che confligge con quanto detto, scritto e letto sin qui a proposito dei tentacoli di una piovra che controllerebbe perfino i battiti cardiaci delle genti del sud. La camorra ha la droga e le armi, quanto basta per assicurarsi una dorata sopravvivenza ad libitum, nel mentre si svuotano -giustamente- oceani di crimine con il cucchiaino. Ma questa è un’altra storia.
C’è anche un risvolto legato ad altri fatti di cronaca: Domenica Guardato, la mamma della piccola Fortuna – morta il 24 giugno scorso dopo essere caduta nel vuoto a Caivano – è tra i destinatari dei divieti di dimora. Secondo l’accusa la donna acquistava banconote contraffatte che poi rivendeva ad acquirenti abituali. Alla donna i carabinieri dato sei ore di tempo per lasciare la città. Domenica Guardato però si difende: «Io con questa cosa dei falsari non c’entro assolutamente nulla».
Le banconote false venivano chiamate «cosariello», «ambasciata» o «l’americano» per indicare il dollaro. Banconote e monete venivano designate con altri nomi, anche nel tentativo di depistare gli investigatori in caso di intercettazioni. Le monete, in particolare, erano«scarpe», «pavimenti», «cartoline» e «gnocchi».
Trovati anche numerosi “gratta e vinci” perfettamente riprodotti. Oltre all’Italia, numerosi i paesi stranieri colpiti dalla truffa: Francia, Spagna, Germania, Romania, Bulgaria, Albania, Senegal, Marocco, Tunisia e Algeria i Paesi più colpiti. Nel corso dei due anni di indagini -nate dall’intuizione di un maresciallo dei carabinieri di una stazione “periferica”- sono state sequestrate 5.500 banconote e monete false di vario taglio per un totale di 1 milione di euro circa.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 27 novembre 2014)