“Sono felice che l’usus antiquus vive adesso in una piena pace della Chiesa, anche presso i giovani, appoggiato e celebrato da grandi cardinali”. E’ questo il passaggio più significativo della lettera, datata 10 ottobre 2014, con cui Benedetto XVI da papa emerito ringrazia il delegato generale del Coetus internationalis Summorum Pontificum per l’invito rivoltogli a presenziare al pellegrinaggio romano dell’associazione.
Il Coetus Summorum Pontificum nasce infatti dall’omonimo motu proprio di Ratzinger per la liberalizzazione della messa tridentina o, più correttamente, gregoriana perché risale a Gregorio Magno, e ha come scopo statutario la diffusione della conoscenza e della celebrazione secondo l’usus antiquus. E a fugare il sospetto che si tratti di un sodalizio, seppure internazionale, di nostalgici è la circostanza della massiccia partecipazione giovanile.
Il pellegrinaggio romano, divenuto ormai da qualche anno appuntamento consueto per la solennità di Cristo Re che per l’antico messale coincide con l’ultima domenica di ottobre, quest’anno è culminato, oltre che con la celebrazione all’altare della Cattedra in S. Pietro, con la messa celebrata nella cattedrale di Norcia dai monaci benedettini di P. Constantin Folsom, per mandato della Sede Apostolica cultori dell’usus antiquus. Entrambe le celebrazioni hanno visto la partecipazione dei cardinali Raymond Burke, ex prefetto del Tribunale della Segnatura Apostolica, e di Walter Brandmüller, ex presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Sicchè scoperto diventa il riferimento di Benedetto XVI ai “grandi cardinali”, tali non solo per le funzioni ricoperte, ma per le loro riconosciute qualità morali e culturali, che li rendono punto di riferimento obbligato per quanti vedono nella messa gregoriana la tradizione vivente della Chiesa.
Analoga impressione di “una piena pace della Chiesa” la si è potuta constatare nella celebrazione in forma straordinaria che si è tenuta sabato 8 novembre, nell’ottavario dei defunti, nella cappella delle Anime del Purgatorio (foto) presso il cimitero comunale di Cava de’ Tirreni. Celebrante ne è stato D. Vincenzo De Marino, parroco della frazione cavese di Passiano, che ripropone la messa gregoriana in occasioni particolari a beneficio spirituale dei fedeli.
E a giudicare dall’affollata partecipazione alla messa di commemorazione dei defunti è sembrato che questa iniziativa colga in pieno lo spirito autentico del motu proprio di Benedetto XVI tanto avversato e misconosciuto da ampi settori della Chiesa.
Innanzitutto perché il sapiente adattamento offerto da D. Vincenzo tiene in debito conto l’evoluzione liturgica della riforma di Paolo VI, tutta all’insegna del coinvolgimento attivo dei fedeli nella celebrazione. L’usus antiquus, all’opposto, è tutto centrato sulla celebrazione del Mistero, a cui si partecipa con la compenetrazione in un rito segnato da una lingua, da gesti e anche da silenzi che ridondano della presenza del divino. Tuttavia, come auspicato da Benedetto XVI che ha sempre parlato di “due forme dell’unico rito romano” da integrarsi a vicenda, la celebrazione cavese ha proposto le letture in lingua corrente e secondo il lezionario vigente e ha consentito che anche il canone della messa fosse ascoltato dai fedeli, laddove l’antico messale ne prevede la recita submissa voce. Scelta sapiente che non priva i fedeli, oggi abituati all’ascolto delle parole della consacrazione e spesso indotti quasi sacrilegamente a ripeterle, della monumentalità anche plastica del Canone romano che fa rivivere la scena dell’Ultima Cena e, con la teoria dei nomi degli apostoli e dei martiri, inserisce la fede dell’oggi nella fede perpetua della tradizione della Chiesa.
E, a proposito di tradizione, significativa è apparsa l’introduzione alla celebrazione che D. Vincenzo ha ritenuto di dover fare. Di fronte alla particolarità del luogo, una cappella cimiteriale che ospita anche le spoglie di benemeriti e illustri sacerdoti cavesi di generazioni addietro, la scelta della celebrazione in rito antico è stata presentata anche come omaggio a quei preti che di quella messa hanno nutrito tutta la loro esperienza sacerdotale.
Così, di fronte a quegli avelli sepolcrali in sobrio marmo di Carrara, sono tornate alla memoria le parole del profeta Ezechiele “ossa arida audite verbum Domini”, ossa inaridite ascoltate la parola del Signore. La grande visione di Ezechiele della valle con le ossa inaridite e vivificate dallo Spirito, ricordata anche da papa Francesco nella sua celebrazione dei defunti, ha costituito il retroterra ideale per una messa inserita nella continuità della fede che unisce le generazioni di ieri, di oggi e del domani nel Corpo Mistico di Cristo. Vi coopera fattivamente anche una forma di celebrazione che ha dalla sua una continuità di almeno quindici secoli. Ed è merito di sacerdoti come D. Vincenzo De Marino se questa trasmissione di esperienza di fede può riproporre tutta la sua fecondità e ricchezza al di là dei pregiudizi ideologici che anche nella Chiesa si manifestano, ma che celano spesso solo ignoranza e sospetto.
Nicola Russomando
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