SALERNO- L’evento inaugurale della 47a stagione espositiva della galleria salernitana Il Catalogo, di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta, sarà dedicato a Franco Gentilini. Giovedì 30 ottobre, alle ore 19, ci sarà il vernissage di una mostra che raccoglie 22 opere, tra olii e disegni, dell’artista faentino, prodotte in un periodo che va dalla seconda metà degli anni Cinquanta al 1980, rivelanti la formazione di un linguaggio personalissimo, ormai fuori da tutti i legami con la “Scuola Romana” e da ogni confronto con i maestri del Novecento, attento alle avanguardie europee che da Ensor-Van Gogh pervengono a Picasso-Gris, Kandinskij-Klee, Kirchner-Grosz senza mai perdere l’originale ritmo italiano della fantasia.
L’iconografia è quella cara alla vocazione narrativa gentiliniana: le grandi cattedrali, le nature morte, i nudi femminili (Le ragazze di Roma II) e i volti di donna, i banchetti (Il giudizio di Paride). Perché, come ci ricorda Moravia, Gentilini fu soprattutto un narratore per immagini, il cantore ironico e dissacrante di una realtà grottesca, in cui il rimando al quotidiano, nelle sue forme e nei suoi attributi più comuni, si trasforma in una discreta ma profonda partecipazione alle pene e alle miserie umane. Teatro di questa rappresentazione sono i monumenti e le cattedrali, simulacri di un passato glorioso, divenuti oramai simboli vuoti e logori, che rivivono grazie alla profanazione del “popolo minuto” (Cattedrale e cani o Ragazza con bandiera e cattedrale) che irrompe sulla scena e donando una nuova luce, la luce del presente e del quotidiano. Una vitalità stregata pervade ogni cosa.
E’ una vitalità immobile, esasperata dalla fissità quasi ossessiva del colore, arido e sabbioso, e delle linee di contorno, nette e definite, ma che le prospettive irregolari e la fuga dei piani inclinati rendono pericolosamente instabile. Così ogni oggetto, intrappolato nel gioco illusionistico del pittore, sembra dover deflagrare da un momento all’altro, per rivelare una natura diversa, una funzione diversa. Una delle prime intuizioni di Gentilini, dai tempi del trasferimento a Roma, è la misteriosa componente architettonica del paesaggio. Su questa fortunata innovazione poetica, Gentilini innesterà oggetti e figure solo apparentemente abbandonati nello spazio, perché, invece, un sottile filo – l’architettura sotterranea – li allaccia in una ragnatela di rapporti senza palesare la magica sospensione che li tiene insieme. Ecco perché usa metriche nuove, che gli permettono di “scendere in profondità, alle sorgenti di un valore figurativo libero”. Indispensabile, allora, la ricerca di amici poeti con cui confrontarsi, De Libero, Sinisgalli, Carrieri, Gatto, i più vicini all’arte, sulle problematiche formali del Cubismo e quelle sentimentali e morali dell’espressionismo da innescare al fondo realistico, per un rapporto non mediato che eviti programmazioni sommarie. Curiosità, predilizioni, scoperte, tentazioni sono tracciate, con una abilità allegra, da un segno che non forza mai le sue intuizioni pur indagandole lungamente e minuziosamente nelle sue espressioni: cartoline d’Italia (Paesaggio con grande albero 1975) memorie d’infanzia, amici poeti e pittori dai lunghi sodalizi, episodi autobiografici, banchetti, cattedrali, paesi di Gentilinia. La ragnatela sotterranea della poesia rende possibile ciò che Sinisgalli chiamava “un mondo in vacanza o in amore, di piaceri infantili e semplici, un mondo che non vorrebbe morire o pensa che non morirà mai”.