Se non è come a Ferguson, città americana di una confederazione di stati guidata da un presidente nero messa a soqquadro al grido di «Basta razzismo», a Napoli poco ci manca. Anche qui la logica è rovesciata. Un corteo di circa 200 persone del rione Traiano ha infatti mandato in tilt la circolazione, bloccando pure l’accesso alla tangenziale che, di suo, è già la summa di più gironi danteschi. La pioggia ha fatto il resto.
Volevano «giustizia», chiedevano «l’intervento di Napolitano» auspicando però che «il carabiniere che ha ucciso Davide faccia una fine lenta e dolorosa». In qualche caso c’era un «lasciatelo a noi anche 10 minuti». Contraddizioni vive, ancestrali: è la maledizione di Napoli, lo sanno tutti, perfino quelli che ieri hanno scandito «giustizia-giustizia» per il povero 17enne ucciso da una pallottola che nessuno sa ancora come e perché sia partita dalla pistola di un altrettanto povero ragazzo di 22 anni con la divisa dell’Arma. Al quale amici, familiari e parenti di Davide Bifolco hanno augurato di «marcire in carcere, non deve avere un’ombra di pace per tutta la vita». Nel corteo anche il fratello del giovane morto, Tommaso, comprensibilmente sconvolto ma convinto di poter urlare enormità del tipo «I delinquenti sono loro, dovrebbero tutelarci. Quel carabiniere deve pagare». C’è la legge per questo.
Gli abitanti del quartiere hanno chiesto anche che il sindaco DeMagistris «venga qui a rendere conto del clima che si è creato». Sarà lo stesso clima stimolato dai 99 Posse, gruppo napoletano dell’antagonismo che sulla profilo Fb prometteva: «Pagherete caro, pagherete tutto», con ovvio riferimento alle autorità. Ci si immagina un questore pronto a stroncare di netto un messaggio del genere in bocca ad un gruppo di artisti molto seguito dai giovani, ma l’unica voce al riguardo l’ha alzata il vice-coordinatore di Fi Amedeo Laboccetta. Il resto dei ‘dichiaranti’ è un insieme di banalità e frasi di circostanza.
Il corteo ha poi fatto una sosta davanti alla casa di Davide.
«Vogliamo vivere, i carabinieri non possono pensar di venire qui ad ammazzarci, non siamo criminali». Un altro cartellone dice «Lo Stato non ci difende ma ci uccide. Difendiamoci». Su un muro campeggia la scritta «Carabiniere infame» e sotto «Davide vive». Sembra quasi Gaza a tratti, dove prima ci si fa scudo con qualche innocente e poi si urla contro la violenza israeliana. E’ sempre quella maledizione che torna e che sfregia una delle città più affascinanti al mondo: con l’aiuto di chi considera accettabili i processi sommari, specie quando riguardano membri delle forze dell’ordine. C’è vicinanza, solidarietà e perfino caos da rappresaglia se la vittima è di una divisa: il silenzio totale quando le vittime (che sono incomparabilmente di più) cadono per mano camorristica o delinquenziale. Così non va.
Sarebbe pure spuntato un quarto uomo in questa storia, un certo Enzo che subito s’è offerto ai giornalisti dicendo che «non c’è nessun latitante, ero io con loro sul mezzo: siamo scappati perché non avevamo la patente». Possibile. Si cercano, intanto, le telecamere di sorveglianza dell’area che potrebbero aver ripreso le scene: sarà difficile ma non impossibile. Domani l’autopsia sul corpo di Davide aiuterà, forse, un po’ tutti a tornare con i piedi per terra.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 7 settembre 2014)