La notizia vera sarebbe che un gip ci ha messo tre anni per decidere sulla richiesta di un pm. La notizia che si fa largo tra la cronaca è, invece, che per un altro parlamentare si stanno spalancando le porte del carcere. Certo è che Luigi Cesaro (foto) alias Giggino a’ purpett’, ex presidente della Provincia di Napoli e deputato di Fi, è prossimo -verosimilmente- alla galera.
Lo chiede la Dda partenopea e lo avalla, si immagina dopo averci riflettuto 36 mesi, il cosiddetto primo giudice. L’antimafia ha depositato la richiesta nel novembre 2011 ma ieri è arrivata la decisione: sì, il politico campano un tempo pappa e ciccia con Nicola Cosentino -in galera per storie analoghe, in tutti i sensi- deve andare al fresco perché con la sua condotta ha favorito un’associazione camorristica (il solito clan casalese, tendenza Bidognetti), ha turbato aste e/o appalti in quel di Lusciano (comune casertano) determinando un’illecita concorrenza (un appalto lo vinse la società di famiglia, la Costruzioni Generali Cesaro, ma poi si ritirò) aggravata da finalità e metodo mafiosi. Svetta su tutto il concorso esterno in 416 bis (associazione mafiosa), l’ircocervo del diritto italiano già emulato -ad esempio- dalla Colombia. Ma a volerci andare in galera è lo stesso Cesaro che ha fatto sapere, oltre di aver fiducia eccetera, di volersi «liberare finalmente da un’accusa ingiusta che mi perseguita da anni» chiedendo ai colleghi deputati di votare a favore.
Ci sono poi un ex sindaco, un ex direttore generale e un ex responsabile dell’ufficio tecnico di Lusciano, tra i destinatari delle misure. Disposto l’arresto anche per due suoi fratelli, Aniello e Raffaele, e per l’ex consigliere regionale Udeur, Nicola Ferraro. In galera anche Nicola Santoro, responsabile dello staff del sindaco di Lusciano; Isidoro Verolla, consigliere comunale e poi sindaco di Lusciano; Angelo Oliviero, responsabile Utc di Lusciano; Bernardo Cirillo, cugino del boss Francesco Bidognetti, destinatario a sua volta della stessa misura. Per altri 7 indagati il gip ha rigettato le richieste di arresto per carenza di attuali esigenze cautelari. Inutile dire che tutto si basa sulle dichiarazioni di un paio di ‘pentiti’, i quali hanno raccontato di incontri personali con i capi dei clan, di voti comprati a 100 o 50mila lire cadauno pagate col «metodo Lauro» e di un’altra serie di circostanze che, seppur distanti nel tempo, hanno reso insopprimibile l’esigenza della galera.
Celebre il racconto, depositato agli atti, di un Raffaele Cutolo intercettato che manda sua nipote da Cesaro per un posto di lavoro: «E’ uno importante quello là» avrebbe detto l’ultimo vero boss di camorra. Una storia in cui Cesaro avrebbe fatto da autista al ‘professore di Ottaviano’ e che lo vide già indagato ed assolto in Cassazione. Evidentemente non basta.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 24 luglio 2014)