La tragedia nella tragedia è la percentuale di probabilità di morire durante il tragitto: sempre più alta. Ecco la ragione che imporrebbe uno stop vero all’esodo di massa verso il ‘nord’ del mondo. Il cui primo nome ufficiale (e, spesso, anche l’ultimo) è Italia.
Diciannove sono i cadaveri recuperati ieri nel canale di Sicilia sul solito barcone salpato dalla Libia. Erano ammassati come sacchi di caffè nella stiva, dove esalazioni di un motore che immaginiamo non proprio ecologico hanno completato il lavoro. Gli altri 300 (o 400) sopra coperta, se pure avessero potuto/voluto aiutarli, non avrebbero trovato un centimetro di spazio libero. Solo pochi giorni fa ne sono morti allo stesso modo altre decine. Atrocità ormai ‘normali’ di questo inferno di terra e d’acqua salata che continua ad inghiottire esseri umani: ingrassandone molti altri, i famigerati ‘scafisti’, con relative organizzazioni e complicità diffuse sulle coste di quei paesi salutati come “Primavere arabe” dagli stessi secondo cui l’immigrazione fuori controllo sarebbe la misura della civiltà moderna.
Scafisti come forse sono i tre tunisini bloccati ieri a Salerno dov’erano sbarcati insieme agli altri 2183 giunti con la nave militare ‘Etna’ impegnata nell’operazione ‘Mare Nostrum’. Sono stati individuati dagli uomini della Squadra Mobile, coordinati da Claudio De Salvo, che sapevano avrebbero tentato di confondersi tra la folla di disperati. Ora sono nel carcere di Fuorni con l’accusa di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina.
Il resto è stato poi accolto, assistito e smistato nei diversi centri di accoglienza tra Emilia, Toscana e Lombardia. Circa 120 resteranno a Salerno ed altri 300 in Campania, mentre 500 di nazionalità marocchina saranno rimpatriati dopo i controlli effettuati tutto il giorno nella caserma Pisacane. Ci sarebbe anche un centinaio di palestinesi tra eritrei, somali, ghanesi, gambiesi ed egiziani. Molte donne incinta, molti bambini: tutti, indistintamente, avrebbero pagato mille euro per il viaggio, un business senza fine.
Il sindaco De Luca, nonostante sia del Pd, sembra aver le idee chiare: «Siete i benvenuti ma sappiate che qui le regole vanno rispettate» ha detto. Si chiama realismo. Mentre, sempre realisticamente, pare che in arrivo in Italia vi siano altri barconi con centinaia di disperati. Una carretta, salpata dalle coste libiche lo stesso giorno di quella dei 2200 giunti a Salerno, si è rovesciata. Si parla di altri 80 dispersi in mare.
Uno scandalo da fermare a tutti i costi. Analogamente, andrebbero pure fermate le banalità di politica ed istituzioni. Laura Boldrini, per esempio, l’altro ieri ancora diceva: «Mare Nostrum ha contenuto la perdita di vite umane ma per quanto meritoria non basta. E’ necessario offrire un’alternativa percorribile che non metta a rischio la loro vita”. Cosa significhi in concreto non si è capito, almeno non ancora: un sospetto ricorrente è che il presidente della Camera il cui primo pensiero -appena eletta- fu esordire accanto all’omologo (in tutti i sensi) del Senato nel Ballarò di Floris, rilancia la preoccupazione di non sembrare abbastanza accogliente.
Ma la palma dello scontro, sempre ieri, l’hanno guadagnata i due principali Matteo della politica. Salvini, segretario della Lega Nord, poco prima di pranzo posta su Facebook una frase tecnicamente antipatica ma sostanzialmente fondata: «Altro sangue che macchia le mani di Renzi». Con ciò intendendo, ovviamente, che il premier italiano in assenza di provvedimenti concreti che interrompano questo strazio infinito, ne sia tra i principali responsabili.
Dal Mozambico, prima tappa del viaggio in Africa di Renzi, arriva la replica: «No a spot di politici con la camicia colorata a caccia di voti: dobbiamo intervenire nei paesi da cui l’immigrazione parte e dare occasioni di sviluppo, di benessere, di pace e di libertà. Serve ciò che stiamo facendo in Mozambico». Giusto, sacrosanto, specie se lo dici da Maputo, capitale del Mozambico. Il punto è che queste cose le devi dire da Strasburgo e Bruxelles. Dopo esserti incatenato fisicamente sotto i palazzi Ue. Il resto è chiacchiera.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 20 luglio 2014)