ARCHIVIOSecondo i pm aveva corrotto mezzo Comune di Napoli: «Assolto, il fatto non sussiste»

admin11/07/2014
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Romeo Alfredo esce da Poggioreale

«Siamo sicuri che in questi anni l’Italia sia stata preda del giustizialismo? Non è che ci si cela dietro il garantismo per mantenere personali impunità? E il controllo di legalità chi lo assicura?». Se lo chiedeva ieri Ezio Mauro durante la consueta omelia alla riunione di redazione di Repubblica visibile on line

 


Al netto della stragrande maggioranza dei detenuti italiani composta da poveracci e per capire se le domande del direttore di Repubblica siano fondate, sentite questa storia (l’ennesima) proveniente dal più fetido degli incroci italiani, quello tra burocrazia, politica, magistratura e media: il problema dei problemi, lo stesso che Renzi ora dice di voler affrontare dopo aver inaugurato la sua entrata in scena con l’imposizione -al solito Pd- del voto palese su casi di libertà personale di un membro del Parlamento. 
Ma vediamo cos’è successo. Alfredo Romeo (nella foto d’archivio mentre lascia il carcere di Poggioreale dopo quasi 80 giorni di custodia cautelare) uno dei più importanti immobiliaristi italiani, proprietario della “Romeo gestioni”, arrestato, incarcerato e processato per una corruzione «sistemica» relativa però un solo appalto -tra l’altro mai aggiudicato- al comune di Napoli nel 2008, è stato assolto definitivamente dalla Cassazione. La VI sezione penale non l’ha neppure voluto rinviare ad un nuova sezione dell’Appello il processo “Global Service”, dopo il ricorso presentato dalla procura generale. «Inammissibilità totale» e «Annullamento senza rinvio» recitano i due esiti statistici,  perché «il fatto non sussiste». La mazzata è forte.

Fine di una pessima storia, dunque, per Alfredo Romeo ma pure per l’ex presidente della Provincia, Antonio Pugliese e per l’ex provveditore alle opere pubbliche di Campania e Molise Mario Mautone, uomo al tempo vicino a Di Pietro. Erano loro gli ultimi tre ancora incatenati all’inchiesta esplosa sul finire del 2008. Nelle previsioni di tre pm, alcuni dei quali impegnati anche sul fronte dei rifiuti (pure lì sconfessati dai rispettivi processi) Romeo organizzò un’associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta, alla corruzione e ad altre 22 ipotesi delittuose, contando sull’influenza su mezza giunta comunale. Scenario da brivido. L’obiettivo era l’assegnazione di un appalto da 500 milioni per manutenzione stradale e gestione del patrimonio immobiliare. La gara non si fece, ma una notte le sirene delle volanti si fermarono sotto casa di 3/4 della giunta di Rosetta Iervolino. Tutti in manette, chi in carcere, chi a casa, ma soprattutto massimo sputtanamento mediatico.

Un film visto migliaia di volte, esattamente come il finale: non era vero niente, la procura aveva sbagliato. Ci sono voluti 7 anni -per fortuna che partirono con rito abbreviato- durante i quali furono assolti gli ex assessori Giuseppe Gambale, Enrico Cardillo, Ferdinando Di Mezza e Felice Laudadio. Un altro, Giorgio Nugnes, non resse alla ‘macchina del fango’ e si impiccò: ovviamente, nessuno ne ha mai dovuto render conto. 

Ad una gara d’appalto, per legge, provvedono uffici comunali e dirigenti, gli assessori nessuno mai ha capito cosa c’entrassero. Se si considera che nella requisitoria il pm chiese per Romeo 10 anni di carcere si capisce pure che la preoccupazione di Mauro è fondata: ma a conclusioni rovesciate.
Romeo in I e II grado si vide invece condannare a due e poi a tre anni, i giudici ritennero che almeno una porzioncina di accuse gli andasse appioppata. Ora è finita. «La vicenda giudiziaria che mi ha investito, gli effetti prodotti sulla credibilità imprenditoriale, pur nella grande soddisfazione provata, non può essere letta con i tradizionali canoni del vittimismo giudiziario, ma deve aprire a riflessioni di più ampio respiro in una Italia che si voglia realmente rinnovare» dice a Libero l’imprenditore-avvocato. Vero, sacrosanto.

Per capire di cosa parliamo consideriamo questo ‘dettaglio’ esilarante: l’appalto doveva servire per riparare il manto stradale, non se ne fece nulla perché la procura delineò ipotesi da Alcatraz, le strade quindi nessuno le ha mai più aggiustate. Sulla qual cosa, manco a dirlo, ora indaga la medesima procura. Sembrano quasi inchieste ‘palindrome’: sia che le si voglia aggiustare, le strade, sia che non lo si faccia. Si chiama Italia.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” dell’11 luglio 2014)

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