ARCHIVIONovaetveteraLa pietà popolare, l’odore delle pecore e quel «così e non altrimenti» che complica le cose

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Giffoni processione SantAntonio anni 40

Una prima applicazione del documento “Evangelizzare pietà popolare” varato dai vescovi campani nel febbraio del 2013, in epoca ancora pre-bergogliana, avrà luogo a Giffoni Valle Piana (Salerno) per la processione di S. Antonio da Padova il prossimo 15 giugno (nella foto, la processione negli anni’40). Devozione popolare molto radicata, che ha il suo centro irradiatore nel locale convento dei Padri Cappuccini, l’annuale processione con il pregevole simulacro ligneo del santo del XVII secolo in origine presso il soppresso convento dei Frati Minori di S. Francesco della Spina, la cui chiesa solo di recente è stata riaperta al culto, è evento interparrocchiale, che interessa tutto l’insediamento urbano di Giffoni, con le frazioni di Chieve, Mercato e Vassi per una durata di circa cinque ore.

L’arcivescovo di Salerno Luigi Moretti, tra i principali estensori del documento in questione non foss’altro per le ricadute sulla processione di S. Matteo, l’evento civico globale della città di Salerno, ne ha curato l’applicazione a tutta la sua diocesi, con un suo “Decreto feste” del 4 ottobre 2013. Preceduto da una serie d’incontri con le istanze locali volti a facilitare la comprensione delle nuove direttive, i precetti del decreto di Moretti consistono nella limitazione delle processioni al territorio parrocchiale, in percorsi su strade pubbliche ad evitare ogni sorta di privilegi in spazi privati, nella riduzione delle soste per evitarne la frammentazione ed entro una durata massima di due ore e mezzo. Il tutto sotto il sigillo finale per i portatori “di evitare danze e giravolte con le statue, durante e a conclusione della processione”, con trasparente riferimento alle paranze della processione di S. Matteo.

 

I risultati pratici sulla processione di S. Antonio a Giffoni, annunciati con pubblica affissione dell’unità pastorale e con formulazione anticipata di scuse per gl’inevitabili “dispiaceri”, si traducono nel ridimensionamento del percorso originario a tutto detrimento del centro storico per privilegiare i nuovi quartieri della frazione Mercato, le cui lobbies si sono rivelate più incisive. Si aggiunga poi che, se sotto la voce “privilegi” si devono intendere recenti soste “istituzionali”, si stenta a comprendere la corretta applicazione del decreto. Viene così sacrificato gran parte del percorso della frazione Vassi, l’insediamento più antico e più popolare di Giffoni, caratterizzato anche morfologicamente da una fitta rete di agglomerati edilizi, cresciuti a ridosso delle dimore patrizie delle più antiche famiglie di Giffoni.

Ai “negoziatori” nelle trattative con il delegato diocesano è sfuggito che nel diritto canonico, a differenza degli ordinamenti giuspubblicistici moderni, un peso decisivo è affidato alla consuetudine come fonte di diritto. Infatti, non solo è giustificata la consuetudo secundum legem, ma addirittura quella praeter o contra legem. La consuetudine “al di fuori o contro la legge canonica” è valida se osservata per almeno un trentennio e, addirittura, una consuetudine centenaria o ab immemorabili è valida anche contro la legge stessa che proibisce consuetudini future. Il tutto consegnato al canone 26 del vigente Codice di Diritto canonico, completato al successivo canone dalla statuizione per cui “la consuetudine è ottima interprete delle leggi”. Il decreto di Moretti invece si chiude con la clausola “così e non altrimenti” che sbarra, imperativamente, ogni confronto in materia.

Se anche il percorso di una processione è materia disciplinata dalla consuetudine, non va taciuto che il documento della Conferenza episcopale campana stride con la visione teologica di Papa Francesco. Nella sua Evangelii gaudium Bergoglio sostiene che con la pietà popolare “il popolo evangelizza continuamente se stesso”. I vescovi campani all’opposto ritengono che sia la chiesa istituzionale a dover evangelizzare la pietà popolare e seguono la strada della direttiva e della prescrizione anche su terreni presidiati dalla consuetudine ab immemorabili. Il risultato è quella “babele dei linguaggi” che si è già avuto modo di sottolineare.  

Non a caso Papa Francesco, aprendo, in modo del tutto irrituale, il 19 maggio i lavori della plenaria della Conferenza episcopale italiana, ha ricordato ai vescovi del “bel Paese” che non si reggono le anime solo con la predisposizione di piani pastorali, che ricordano molto la deriva burocratica delle pubbliche amministrazioni, ma “con la fiducia nello Spirito del Signore che spalanca continuamente gli orizzonti della missione”.

Per questa via i pastori possono avvertire “quell’odore delle pecore”, che, divenuto slogan di tutto un pontificato anche Moretti inserisce nei decreti di nomina di nuovi parroci come clausola ricorrente. Se poi sia solo una clausola di stile è da verificare sul terreno concreto dell’ascolto dei fedeli.

Nicola Russomando

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