Le indagini e, in generale, i guai giudiziari sono un po’ come le olive: una tira l’altra. Ed è così che per Claudio Scajola l’incubo si moltiplica in quanto la procura generale di Roma ha proposto appello contro la sentenza di assoluzione di I grado per la mitica casa vista Colosseo, acquistata «a sua insaputa» (nella foto tratta dal sito dell’Espresso).
In un ricorso dal tratto spumeggiante e spesso ironico, il sostituto procuratore generale, Otello Lupacchini, dice chiaramente che né Claudio Scajola né Diego Anemone (l’imprenditore della «cricca» di Balducci) sono due idioti: proprio così, usa il termine “idiota” più volte il magistrato romano, che non ci sta -si intuisce dal tono dello scritto- ad avallare una sentenza assolutoria del giudice di prime cure secondo cui un ex ministro degli Interni e un imprenditore con molto pelo sullo stomaco sarebbero «sesquipedali sprovveduti». L’impugnazione segue lo schema classico, attaccando la sentenza sul tempus commissi delicti (cioè quando c’è stato il reato) per ciò che attiene il calcolo dei termini di prescrizione; e sul tipico vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione unita al travisamento del fatto.
Parliamo di una sentenza che ha mandato assolto Scajola che -testuale dal ricorso di Lupacchini- «Ci restituisce dell’imputato l’immagine di un sesquipedale sprovveduto, quantunque tutt’altro che di un “idiota”, almeno nel senso comune, di chi “fa del male a se stesso,” non sa “stare al mondo” e soprattutto non sa “farsi furbo”». Come può un «cretino», in pratica, esser tale e ricavarne vantaggio contemporaneamente? Il diritto, a volte, si ciba di queste questioni che solo superficialmente appaiono slegate dalla realtà: invece è su taluni aspetti psicologici che si costruiscono condanne e/o assoluzioni. Questo è uno dei casi.
Nessuno, ribadisce il magistrato, può pensare che sia credibile che uomini come Scajola o come lo stesso Anemone (che avrebbe così tenuto in pugno Scajola pagando i 3mila euro di differenza a metro quadro per i 200 complessivi dell’immobile di via Fagutale) potessero davvero tirar fuori tanti soldi (1,6 mln) versarli alle sorelle Papa (proprietarie della casa) operando il minuetto dell’entrata e dell’uscita ad intermittenza dallo studio del notaio, in un gioco di facile comprensione. Il giudice di primo grado, dice il sostituto procuratore generale, evidentemente sì.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 15 maggio 2014)