Sarebbe solo questione di ore e se ne conosceranno anche i nomi. Stiamo parlando degli indagati appena sfornati dalla procura di Reggio Calabria nell’ambito di Breakfast, indagine che ha, tra gli altri, spedito dritto in galera l’ex ministro degli Interni Claudio Scajola (foto).
Non c’è l’ufficialità – almeno fino al momento in cui Libero è andato in stampa- ma si è trattato di «indiscrezioni» filtrate da ambienti vicini agli inquirenti, peraltro non smentite. Dovrebbero essere in tutto una decina, che vanno ad aggiungersi agli otto iniziali.
Il tutto mentre la procura attende di conoscere il destino del cavallo più importante su cui ha puntato: il Tribunale della Libertà, infatti, dovrà pronunciarsi sul ricorso presentato dai pm contro il mancato accoglimento del gip dell’aggravante mafiosa. Se pure il Riesame dovesse confermare che tutta l’operazione non sia stata concepita allo scopo di favorire la ‘ndrangheta, è lecito presumere che le cose prendano un’altra piega. Si vedrà. Intanto si registra un dato apparentemente minore: durante le ore del baccano successivo agli arresti, il 95% dei media parlava di mafia dando per scontato che ci si trovasse già in quel contesto. Ieri, perfino sulle agenzie di stampa si leggeva di un cautissimo (nonché corretto) reato di «procurata inosservanza di sentenza», accusa centrale -sin qui- formalmente contestata a Scajola e coindagati. Cosa sarà successo nel frattempo?
Intanto è stata un’altra giornata di interrogatori per alcuni, di attesa per altri.
Chiara Rizzo, presunta femme fatale di tutta la vicenda, ha trascorso un’altra notte in cella in Francia. L’altro ieri, l’interrogatorio di garanzia al Parquet di Aix en Provence e poi la misura cautelare alla Baumettes di Marsiglia, in attesa dell’udienza formale di oggi. L’avvocato d’ufficio, Geraldine Flory, l’ha raggiunta presto mentre i suoi legali italiani, pur essendo sul posto, sono ancora impossibilitati ad incontrarla per disposizione degli inquirenti. La donna continua a dichiararsi innocente e «non ha mai sostenuto di voler rifiutare il processo» – ha dichiarato uno dei suoi legali, Carlo Biondi- «ha solo detto che rigetta le accuse. Credeva che il marito potesse avere asilo politico in Dubai». Oggi, presumibilmente, davanti ai tre giudici francesi ripeterà di voler tornare in Italia, un assenso necessario per accelerare la procedura. «Che lei volesse tornare l’ha dimostrato facendo sapere ai giudici che stava tornando» ha aggiunto il legale della signora Matacena.
Quanto all’ex deputato forzista oggi a Dubai, e dal quale è scaturita l’indagine visto che è rincorso da una sentenza passata in giudicato a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa (il famoso reato frutto di “fecondazione assistita” nelle sezioni della Cassazione e non di “naturale concezione” contemplata dal codice penale, all’origine delle numerose difficoltà nelle relazioni internazionali con gli stati), il suo avvocato fa sapere che « è stato fermato all’aeroporto di Dubai di ritorno dalle Seychelles ed era in possesso della propria tessera di ex parlamentare e del proprio passaporto, documenti che sono stati trattenuti dalle autorità degli Emirati e che gli impedivano di allontanarsi in attesa di una decisione sull’estradizione. Gli inquirenti nell’ordinanza di qualche giorno addietro danno conto di averlo individuato e controllato alle Seychelles nell’estate 2013 e presumono che il volo a Dubai fosse una tappa intermedia in attesa del rientro a Nizza dalla famiglia. Ne deriva che Matacena non poteva lasciare Dubai, né aveva interesse a farlo, in assenza di trattati di reciprocità tra gli stati e di rapporti bilaterali tra i governi, a differenza del Libano». Particolari di non poco conto e che influiranno se e quando ci sarà il processo.
Anche la madre di Matacena, Raffaella De Carolis, è stata sentita dal gip. Ha risposto alle domande respingendo le accuse. Deve chiarire il suo coinvolgimento nella fusione della “Solemar”, società riconducibile ai figli. Quanto all’accusa di «procurata inosservanza della pena» la signora ha precisato che il suo interessamento per il figlio Amedeo è dovuto al rapporto affettivo. Ovviamente.
Le carte sequestrate a Scajola, il presunto “archivio segreto”, sono arrivate ieri sera a Reggio Calabria. Sono nelle mani dei magistrati.
Le polemiche sull’utilizzo improprio della scorta di Scajola in favore della Rizzo hanno tenuto banco facendo registrare la protesta dei sindacati di Polizia. Come pure il fatto che il numero intercettato su Scajola fosse intestato al Viminale. Alfano ha promesso di far luce.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 14 maggio 2014)