ARCHIVIOStrage di Palagiano: i fratellini scampati all’agguato divisi e ancora senza una casa

admin22/04/2014
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Palagiano strage

Il futuro di Mario e Dario è nelle carte, nei timbri, negli organi di tutela paralleli e concorrenti, nel dilettantismo di figure professionali spesso infrattate nelle maglie del pubblico impiego, nelle responsabilità che si incrociano e svaniscono proprio quando servirebbero spalle larghe per assumersele. Il loro avvenire, cioè, dipende dai mali italiani per eccellenza.

 


Mario e Dario (nomi di fantasia) sono i due bambini pugliesi di 8 e 6 anni sopravvissuti all’agguato costato la vita alla madre, al patrigno e al fratellino, il bellissimo Domenico di appena 3 anni che, come loro, si trovava nel posto sbagliato nel momento sbagliato. E, purtroppo, con la gente sbagliata: che fu, il 17 marzo scorso, Carla Fornari, 30 anni e già «vedova di mafia» del padre dei tre piccoli, e Cosimo Orlando, pregiudicato in semilibertà, quasi di sicuro il bersaglio della strage allo svincolo autostradale (foto) di Palagiano, sulla Ss.106 che da Taranto va a Reggio Calabria.

L’Italia, pur abituata ad efferatezze di ogni tipo, rimase scioccata perché i killer spararono senza farsi scrupolo di quel piccolo in automobile con mamma e patrigno, né degli altri due bambini, poi miracolosamente sopravvissuti.
Oggi nessuno sa come, dove, quando e con chi ora debbano stare: a partire dal Tribunale dei minorenni che, a distanza di oltre un mese ,ancora non ha nominato il tutore di Mario e Dario. E’ lecito supporre questa alternativa: o il carico di lavoro di quell’ufficio giudiziario è troppo gravato dal pregresso (pure al minorile solita canzone?) oppure ci sono da smaltire emergenze ancor più «emergenti» del destino di due bambini rimasti d’un tratto soli perché i genitori sono stati fatti secchi nella guerra di mafia. 

Da quel giorno sono ancora separati e senza una sorte precisa e a 8 e 6 anni certe cose contano più di quanto non contino negli anni a venire, ovviamente. Il più grande, Mario, è con una zia, sorella della madre uccisa; l’altro è invece con una zia del papà naturale. Chi ha avuto il fegato di denunciare questa situazione è Laura Gioia, preside della Giovanni XXIII, la scuola frequentata dai due piccoli. Lo sfogo è stato raccolto ieri dall’edizione pugliese del Corriere del Mezzogiorno. Ed è uno sfogo di quelli destinati a far rumore se si considera che la dirigente scolastica è andata dritta al cuore del problema: l’elefantiasi burocratica, malattia grave del tessuto sociale italiano, che si fa metastasi quando incrocia il pachiderma della macchina giudiziaria.

Dice la Gioia: «I fratellini di Domenico non hanno ancora un tutore individuato e io mi sento impotente. Non si sa ancora chi fosse il bersaglio dei killer. Siamo sicuri che i bimbi siano davvero al sicuro?». Questa è la domanda generale e fin qui nulla quaestio: il problema è nel dettaglio successivo, fatto di assistenti sociali che non intendono esporsi (sic!) non volendo dare l’impressione di separarli dalla famiglia d’origine; di un Comune che dice che si sarebbe interessato al caso; di un Tribunale dei minori che -inutile dirlo- pretende una richiesta scritta se no manco ci parla con te; di un confronto col magistrato che rimane un miraggio (chi gira un po’ per tribunali, minorili o non, conosce il fenomeno); di una psicologa scolastica la quale, comprensibilmente, si rifiuta di operare perché timorosa delle responsabilità che ne potrebbero derivare in assenza di una investitura formale. Insomma, un guazzabuglio all’italiana con al centro la vita  di due bambini nati in un contesto complicato: questione frequente, specie al sud, dove le guerre tra clan lasciano sul campo troppi orfani. 

Le maestre parlano di due bambini tranquilli– continua la prof Gioia- ma io stento a credere che la cosa sia possibile, almeno non in questi termini così netti: noi dobbiamo sapere con relativa certezza cosa succede non foss’altro perché la legge ci impone di sapere a chi affidiamo i bambini all’uscita di scuola. 
Sembra che la preside abbia ricevuto la visita di una nonna che vorrebbe tenerli con sé: essendo il tutto maturato in contesti familiari «problematici», ecco che pure questa decisione diventa tale visto che in casi analoghi, dopo un’iniziale cura, i bambini spesso venivano trascurati ed abbandonati ad un destino, peraltro segnato. Don Francesco Zito, lo stesso parroco officiante il funerale, intrattiene rapporti con una nonna materna in attesa che il quadro evolva positivamente. Sta di fatto che nessuno ancora si spiega come mai il tribunale minorile non acceleri disponendo l’affidamento, si spera non separato, dei due bambini. 

Antonio Polito, editorialista del Corsera, qualche giorno fa lamentava la denegata giustizia ad un bambino di 3 anni ucciso barbaramente. Ne è nato un dibattito, diciamo, il ministro Alfano ha detto quel che doveva dire («caccia senza tregua ai killer, li prenderemo» etc.) e tutti in qualche modo hanno detto la loro. Chi sembra aver centrato il problema, però, è la preside della scuola. E non succede così spesso.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 22 aprile 2014)

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