CAVA DE’ TIRRENI (SA)- Il percorso espositivo ideato si articola attraverso una duplicità di punti di vista che prevedono la riproposizione di una sacralità di classica progenie fino ad esiti neotestamentari dai risvolti figurativi attualissimi. Le figure scelte da Rocco Normanno attingono spesso ad un repertorio consolidato nella storia dell’arte occidentale e se in apparenza sembrano rimandare a risvolti formali e tecnicismi manieristici dei maestri del XVI secolo, i santi e gli dei si accampano nello spazio pittorico e nel locus prescelto con pose assolutamente inattese ed improvvise.
È la ritualità quotidiana, in alcune opere di Normanno a prendere il sopravvento, come nel caso di Marte o Mercurio a riposo, Giano bifronte o il dubbioso Narciso che cerca se stesso riflesso in uno specchio convesso di eyckiana memoria.
Nonostante tutti i volti si configurino con iperrealistici lineamenti e non prelevati tout court, da uno stanco repertorio accademico, il tratto contemporaneo si palesa in un sincretismo di remote, quasi ancestrali ascendenze mediterranee.
Un filo continuo e di colto spessore accomuna gli interpreti ai personaggi che sono disposti sulla tela secondo uno schema iconografico incisivo e volutamente marcato: Eva e Salomè, le uniche donne del nostro percorso, prescelte tra le tante nella lunga serie di dipinti approntati dall’artista negli ultimissimi anni, sono antitetiche e ieratiche al contempo: distanti nel racconto biblico, immortali ed assimilate alle divinità d’un paganesimo mai fugato del tutto nella cultura dell’antichità.
Rievocate spesso nell’immaginario d’ogni corrente artistica d’Europa, nelle mani di Normanno assumono una plasticità scultorea ancorché pittorica di sicura e fortissima presa emozionale; il punto di vista è prospettico ed assiale.
Entrambe sono illuminate da una luce sinistra e drammatica che rende spettrale la scena, presaga di imminenti, inquietanti tragedie umane.
Per San Girolamo e San Matteo, l’artista che ha scelto la Toscana quale terra elettiva, ha posto l’accento sui volti e non sulla gestualità, percorrendo le strade maestre d’una consumata traditio d’arte italica, abusata forse, ma di grande spessore.
Talora, nel modus pingendi Rocco Normanno è lezioso e raffinato quanto basta a lasciare i fruitori spiazzati dinanzi all’assenza di apparenti moti dell’animo.
Negli sguardi che oltrepassano l’orizzonte fuori dal contesto del dipinto, si cela una scoperta rassegnazione: è l’atto di rinuncia e la consapevolezza del proprio destino nel San Sebastiano carnale ed impassibile.
Il pathos finale è raggiunto nella teatralità di Tizio, effigiato in quella nudità che il mito riservava agli dei ed agli eroi. (nella foto)
La tracotanza del gigante è immortalata nel momento precedente all’eterno supplizio a cui fu sottoposto nello spettrale sincretico Tartaro.
La mostra, inaugurata sabato 5 aprile, resterà aperta al pubblico fino al 24 aprile 2014.
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C.so Umberto I, 137