Ancora una tegola giudiziaria sul capo di un autorevole esponente del Partito Democratico, formazione politica notoriamente subalterna agli amori e agli umori dei pubblici ministeri. Nonostante Renzi. Si tratta del sindaco di Eboli (Salerno) Martino Melchionda (foto dal web) che ha da poche ore ricevuto (o avrebbe dovuto ricevere, siamo pur sempre in uno strano Paese) l’avviso della conclusione delle indagini per un’ipotesi di reato piuttosto seria, non il tradizionale abuso d’ufficio che ormai non si nega più a nessuno (e che pure lo riguarda per la nota vicenda della coop Ises, vedi altri servizi in Omissis).
E’ la concussione, vale a dire una forma «nobile» di estorsione in danno di un soggetto terzo che possono esercitare solo i pubblici ufficiali. E secondo il pubblico ministero della procura della repubblica di Salerno, Maurizio Cardea, titolare dell’indagine, quella condotta Melchionda l’avrebbe esercitata nei confronti di un altro esponente del Pd, un «giovane» dirigente di cui omettiamo il nome per esteso.
Trattandosi di un’indagine giudiziaria su un soggetto politico, c’è da andarci con i piedi di piombo dal momento che nella maggior parte dei casi, le istruttorie e gli stessi dibattimenti si concludono in un nulla di fatto o cadono sotto la mannaia della prescrizione: per non dire delle mille altre ragioni che abbiamo imparato a conoscere in tutti questi anni alla base delle scelte di numerose procure italiane. Nel caso in questione, però, la faccenda (che speriamo si concluda in un nulla di fatto anche nei confronti del sindaco ebolitano e del co-indagato C.G.) presenta delle simpatiche particolarità: in buona sostanza si assume, da parte della magistratura salernitana, che il sindaco abbia concusso non un imprenditore per averne qualche utilità, non un fornitore per altrettante ragioni, bensì un giovane dirigente del suo stesso partito che aveva fatto richiesta di adesione ad un bando per la concessione di uno spazio all’interno di un ex palazzo nobiliare di Eboli (il Massajoli, su cui, volendo, pure ci sarebbe da scrivere). Il dirigente Pd aveva in pratica presentato uno dei tanti progetti per le politiche giovanili di cui sono zeppi i comuni e gli enti locali italiani.
Secondo il pubblico ministero Cardea quindi le indagini si possono chiudere e, di conseguenza, si può chiedere, quasi certamente, il rinvio a giudizio per il sindaco, secondo il famoso art. 415 bis del codice di procedura penale. Lo spettro del processo si avvicina perché -scrive testualmente il pm Cardea- «Melchionda abusando della qualità di sindaco costringeva C.G. a sottoscrivere un documento di sfiducia nei confronti del segretario della locale sezione del Pd Salvatore Marisei prospettandogli in caso contrario il rigetto della richiesta di ottenere l’affidamento denominato Palazzo massajoli nell’ambito del programma già approvato dalla Regione Campania denominato Piano Territoriale delle politiche giovanili».
Chiaro? Per sfiduciare il segretario del suo partito il sindaco si sarebbe spinto ad esercitare addirittura la sua forza istituzionale abusando della qualità di primo cittadino. Una roba che se dovesse esser confermata sarebbe a dir poco ripugnante: si capiscono le grandi cifre di danaro, i grandi interessi e anche quelli meno grandi, ma queste robette qui tracciano una prospettiva diversa. Tant’è che è piombata addirittura la magistratura a mettervi becco: un becco che non annuncia nulla di buono. Ma da dove nasce questa storia? Da un’altra indagine attivata proprio dallo stesso Melchionda e dal coindagato C.G. (che oggi diventa pure parte offesa, insieme al ministero della giustizia) in danno di un giovane consigliere comunale, Antonio Petrone, accusato dai due di diffamazione e a lungo indagato: Petrone, in buona sostanza, che di «giovane» evidentemente qualcosa aveva ancora conservato, denunciò l’operazione ricattatoria esercitata dal sindaco in danno di C.G.
Ne discese formale querela ed indagine correlata: tutta finita nel nulla, va da sè, con un’ampia archiviazione chiesta dal pm e disposta dal gip nei confronti del consigliere comunale. Il punto è che da qui è partita l’indagine parallela che alla fine s’è ritorta contro il sindaco stesso. In realtà ci sarebbe anche la calunnia, se proprio vogliamo fare i precisini: Melchionda, rebus sic stantibus, era consapevole di denunciare Petrone sulla base di ipotesi false scatenando così un procedimento penale ingiusto nei confronti del consigliere. E questa si chiama calunnia, reato grave ed odioso. Odiosissimo. Chissà che i pm non vi aggiungano anche questa ipotesi accanto alla concussione e alle false dichiarazioni a suo tempo rilasciate dallo stesso C.G.
Un tempo si diceva che quelli del Pd (e della sinistra in generale) finiranno con l’arrestarsi l’un con l’altro a furia di aspirare la forfora dal bavero delle toghe degli accusatori di professione. Spesso è andata così, il veleno inoculato da queste formazioni politiche nella società italiana ha fatto danni incalcolabili. Ma che si «concutessero» a vicenda perfino per defenestrare un segretario di partito di una sezione che non è esattamente come quella di Bologna, questa sinceramente non s’era mai sentita. Invece c’è. E fa pure molto rumore.
Peppe Rinaldi
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