ARCHIVIOPedofilia: alla fine (ma pure all’inizio) lo zio non era l’«orco»

admin03/02/2014
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Pedofilia

Niente arresto, niente notizia, nessuna conferenza stampa e tutto il resto. Eppure sempre «pedofilo» era il tizio che la procura di Salerno voleva mettere in gattabuia nel marzo dell’anno scorso. Solo che il gip del caso non considerò sostenibile la teoria del pm e, di conseguenza, il carcere per quello «zio orco» non era un ineluttabile destino. Il guaio nasce, però, quando l’accusa insiste e, pur sbattendo il muso contro il muro non una, non due ma tre volte (Riesame compreso) alza la posta e arriva fino in Corte di cassazione per vedersi riconosciuta la fondatezza del proprio convincimento. 

Circostanza non rara, anzi piuttosto frequente nell’amministrazione della giustizia in Italia. Salerno -che risulti- Italia ancora lo è, ne consegue che la seconda procura della Campania si allinei all’andazzo degli altri uffici. Nel bene e nel male: il problema è che quando si tratta di «male» non è come il male che capita in altri ambiti, qui bisogna andarci cauti, estremamente cauti.

Dunque: secondo le accuse della solita psicologa/assistente sociale di un’Asl salernitana (evitiamo sin d’ora nomi ed altro) la bambina “tal dei tali” presentava i «classici segni di dissociazione e disturbo interiore dovuti ad abuso sessuale». E’ la formula magica che spesso pronuncia il personale impiegato nelle strutture pubbliche, sulla cui affidabilità e competenza andrebbe fatto un lungo discorso, a partire dai criteri di assunzione. La formula evocata, però, una volta trasferita in una procura rischia di diventare materiale incandescente. Soprattutto se ai vertici dell’ufficio giudiziario tra le priorità della «politica criminale» da perseguire ci sia proprio la pedofilia e la violenza sessuale: il che, in linea di principio, è intento nobilissimo data la ripugnanza e la gravità del reato. Ma è sempre vero? E’ sempre così? C’è sempre da far scattare le manette infischiandosene di quanto accade un minuto dopo un’ adrenalinica conferenza stampa che in enere segue le retate di investigatori e inquirenti (e che in questo caso, come abbiamo detto, non c’è neppure stata)? Si direbbe di no.

Pochi giorni prima del 18 marzo del 2013, meno di un anno fa, la procura della repubblica di Salerno chiede l’arresto di C.D., salernitano, zio di due minorenni, una delle quali molestata pesantemente. Secondo il pm (conta l’ufficio non il nome del magistrato, specie in questo caso) l’uomo avrebbe preteso dalla ragazzina, figlia di una sua sorella, rapporti orali, carezze e toccamenti di ogni tipo, con successiva deflorazione e conseguente eiaculazione. Sua sorella, pare, avrebbe anche dichiarato nel tipico interrogatorio circondata da esperti e psicologi vari, che «lo zio a volte andava a riposare nel letto, a dormire con…». Messa così a chiunque verrebbe voglia di ricorrere a soluzioni ben più drastiche di una galera. Grazie a Dio esistono magistrati che hanno ancora la testa sulle spalle: infatti il gip nega l’arresto dello «zio orco» (banalissima formula standard in uso ai media) per assoluta carenza dei presupposti per sbattere in cella un innocente. Specie per un reato così infamante. 
Stiamo parlando di un anno fa almeno, un procuratore capo effettivo c’era e le linee guida dell’ufficio avevano tutte una loro coerenza logica: quanto finalizzata, poi, alla -peraltro legittima- costruzione di un percorso che avrebbe proiettato su scala nazionale la propria figura, lo si può solo immaginare e/o liberamente pensare. La pedofilia e la violenza sessuale erano sicuramente tra le priorità: operazioni eclatanti nel merito e nel metodo negli ultimi cinque anni ce ne sono state a iosa e non tutte sono finite come annunciato a flash, taccuini e telecamere: si pensi ai casi di Vietri sul Mare o, più recentemente, a quanto accaduto nei Picentini con storie da apparente girone dantesco. La collaborazione dei media, in questo, è stata determinante: qualcuno ricorda per caso un seguito sulla stampa dopo le paginate di trascrizione dell’ordinanza? Vero è che non ci si ricorda neppure delle domande (sono quelle cose che in genere si fanno alle conferenze stampa), figuriamoci il resto.

La procura di Salerno ricorre al tribunale del Riesame dove pure viene bocciata a distanza di tre mesi esatti: siamo al 18 giugno del 2013. Una pioggia di osservazioni, tecniche e di sostanza, smantellano la convinzione che quello «zio orco» andasse arrestato e basta. Da una parte si insisteva, dall’altra si continuava a bocciare: doveva essere proprio scadente l’impianto accusatorio perché in genere nelle fasi iniziali di un’inchiesta si accoglie un po’ di tutto. Ma questa è un’altra storia.
Vediamo com’è andata a finire. Con la sentenza n. 50599 del 16 dicembre 2013 (l’udienza è stata due mesi esatti prima, il 16 ottobre) la III sezione penale della Cassazione, presieduta da Alfredo Teresi (Renato Grillo, Guicla Mulliri, Lorenzo Orilia, Alessandro Andronio, consiglieri) ha messo una pietra tombale su tutta la storia giudicando inammissibile il ricorso della procura di Salerno contro la decisione del Riesame. Perché? In sintesi: perché chiedeva ai giudici di ultima istanza una rivalutazione del quadro probatorio, cioè di analizzare le prove che, in primo luogo la corte di legittimità non può fare (rectius, potrebbe fare solo in determinati casi tutti regolati già dalla giurisprudenza) e che un gip e un tribunale della libertà avevano già considerato infondate. Le persone non si possono arrestare (in teoria) senza elementi concreti anche se la storia giudiziaria, specie quella dell’ultimo ventennio italiano, è costellata di abusi. Ovviamente tutti impuniti.

La corte ha poi continuato, impietosa, a sviscerare i motivi per i quali la procura di Salerno non avrebbe neppure dovuto chiederlo quell’arresto. Scrivono i giudici: «(…) Correttamente i giudici della cautela e del riesame inferiscono la mancanza di gravi indizi di colpevolezza dalla scarsa credibilità del racconto della persona offesa, desumibile dal fatto che questa aveva accusato di violenza sessuale, oltre all’imputato, altri soggetti per i quali l’accusa doveva pacificamente ritenersi infondata. A ciò si aggiunge l’ulteriore circostanza che il riscontro del narrato della persona offesa, proveniente dalla sorella, si basa in misura decisiva sul racconto di quest’ultima, non confermato in incidente probatorio, e comunque inficiato dalle domande suggestive che le sono state poste in sede di indagini preliminari». Morale: come diamine vi viene di immaginare un arresto? 

E ancora: «(…) la circostanza che la sorella della minore avrebbe direttamente assistito ad episodi nei quali la minore andava a dormire nello stesso letto dello zio è stata indotta da domande suggestive del tutto sganciate dal contesto delle dichiarazioni rese in precedenza. La sorella della persona offesa non aveva, infatti, mai fatto riferimento neanche indirettamente a tale circostanza, introdotta ex novo nel corso dell’esame da parte della psicologa».

Domande suggestive? Cioè le risposte venivano indotte nella minorenne da chi la assisteva o interrogava? Par di capire di sì: non si comprende, allora, perché non risultino provvedimenti di alcun tipo in danno di chi questa faccenda l’ha gestita «suggestivamente». Ciò che non stupisce più. Ormai.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Cronache del Salernitano” del 3 febbraio 2014)

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