ARCHIVIOI colloqui tra avvocato e cliente non si possono intercettare: falso, ecco la «prova regina»

admin26/12/2013
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intercettazioni

Le conversazioni tra avvocato e cliente non possono essere ascoltate: punto. Su questo non ci piove e, al netto di casi specifici in cui il difensore è sospettato di favoreggiamento, si tratta di un principio di base che non dovrebbe neppure esser tema di discussione. Oltre al codice di procedura penale e alla costituzione-più-bella-del-mondo, il divieto è imposto da un’antica civiltà giuridica, opportunamente puntellata e vigilata dalla qualità degli attori del foro, siano essi avvocati, magistrati, membri della polizia giudiziaria o penitenziaria.

In realtà, sappiamo che quella stessa costituzione-più-bella-del-mondo, specie per gli adoratori professionali del totem, funziona a intermittenza: le drammatiche vicende di almeno un ventennio di terrore manettaro, lontano dal concludersi nonostante la cacciata dal parlamento dell’unico leader politico che abbia osato mettere in discussione l’ordine giudiziario (indipendentemente dall’interesse diretto che poteva o meno avere nella faccenda) insegnano, invece, che di certe cose ci si fa spesso gioco. Per non dire di quanto accade nelle piccole realtà giudiziarie del paese, dove a volte un pm o un gip contano più di un sindaco, un notaio, un carabiniere, un parroco e un farmacista messi assieme.

Com’è successo nella strampalata vicenda di un cittadino rumeno di poco più di vent’anni, arrestato ad aprile scorso per una banalissimo furto di un’Ape Car e subito arrestato insieme al complice. Storie di vita quotidiana, in pratica.

Soprassediamo per un attimo sulla vicenda complessiva che investe questo ragazzo, vale a dire il fatto che pur incensurato sia stato messo in carcere tra delinquenti abituali nonostante le previsioni di legge (se, ad esempio, il pm o il gip prevedono che la pena gli venga sospesa per l’incensuratezza del reo la custodia cautelare non si dà neppure); che non sia stato scarcerato nonostante le reiterate richieste del suo avvocato difensore (il salernitano Michele Capano); che non sia stato neppure mandato ai domiciliari pur in presenza delle condizioni previste dalla legge per beneficiarne; che -pare- sia stato anche malmenato, al cospetto dei carabinieri che l’avevano arrestato, dal proprietario dell’autoveicolo rubato, ed altre questioni oggi tutte all’attenzione del Csm, del Guardasigilli, della commissione giustizia della Camera e del Senato, della commissione diritti umani del Senato, del presidente della repubblica oltre che al presidente del tribunale di Lagonegro (il distretto giudiziario dove si è verificato il fattaccio, in provincia di Potenza) e al giudice del dibattimento in questione, che l’avvocato Capano ha inteso contattare. Concentriamoci invece sull’incredibile storia dei colloqui -forse- intercettati e registrati tra questo giovane detenuto (da poco in libertà a distanza di mesi dall’arresto) e il suo avvocato difensore.

C’è un documento cartaceo che proverebbe non tanto che l’ascolto della conversazione sia avvenuto quanto piuttosto che sia potuto succedere come se si trattasse di una prassi invalsa in certi ambienti e in determinate condizioni. Parliamo di un fax che dal carcere di Sala Consilina (Salerno), dove Georgescu Adrian Mihaita (così si chiama il giovane) era detenuto, è stato spedito al gip del relativo tribunale per avere «istruzioni»: in pratica, si chiedeva al magistrato cosa fare dinanzi alla richiesta di Georgescu di voler parlare telefonicamente con il proprio difensore, se limitarsi unicamente ad ascoltare la chiamata oppure procedere alla sua registrazione. Sembra una barzelletta, è invece una realtà messa per iscritto.

Ecco cosa è testualmente riportato nel fax n. 333 del 18 aprile 2013: «Per dovere d’ufficio si trasmette l’allegata istanza prodotta dal nominato in oggetto, con la quale chiede di intrattenere corrispondenza telefonica con il proprio difensore di fiducia avvocato Capano Michele del foro di Salerno all’utenza telefonica 089/XXXXXX. Tanto premesso, trattandosi di soggetto a disposizione di codesta autorità, pregasi far conoscere disposizioni in merito, precisando in caso affermativo modalità di esecuzione della stessa (con ascolto e registrazione o meno)». Sembra non ci sia altro da aggiungere, le parole hanno un significato preciso al di là dell’interpretazione che si intenda darne: caro giudice, che facciamo ascoltiamo soltanto la chiacchierata o la registriamo pure? Roba di cui dovrebbe rispondere l’intera filiera giudiziaria coinvolta: dal magistrato con relativi organi di controllo al direttore del carcere, passando per gli agenti coinvolti e la burocrazia amministrativa informata (se c’è) della vicenda. Succederà? Difficile.

Altri casi eclatanti si sono registrati nei mesi scorsi, uno su tutti il clamoroso arresto di un noto penalista napoletano (l’avvocato Salvatore Lepre) «sorpreso» a discutere con un proprio cliente di cose considerate alle stregua di reati dai magistrati inquirenti. Vicenda complessa, intricata, un nodo difficile da sciogliere: nella vicenda qui raccontata invece, c’è poco da interpretare, è tutto nero su bianco. Ma sarà senz’altro colpa della macchina del fango: del resto, l’emergenza giustizia in Italia non esiste, è un’invenzione dei berlusconiani e bla bla bla.
Intanto, dal 13 al 15 gennaio prossimi i penalisti italiani hanno proclamato uno sciopero proprio per attirare l’attenzione sull’argomento che, a quanto pare, è più diffuso di quanto si pensi. Appuntamento a Napoli per la manifestazione nazionale.

Peppe Rinaldi

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