ARCHIVIOIl «killer del Pd» si converte: in cella menù ad hoc e maestro zen

admin15/10/2013
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Romano Catello arresto polizia

Non sarà come Aaron Alexis, il veterano militare che lo scorso metà settembre  fece una strage dentro la base americana dei Navy Seals a Washington, ma Catello Romano (nella foto al momento dell’arresto, da www.metropolisweb.it) 24enne da Castellammare di Stabia, qualcosa in comune con lo statunitense ce l’ha: è diventato buddista e vegetariano, e con le armi risulta avvezzo quanto basta per far secco qualcuno.

 

Non si sa se pure l’americano avesse in tasca una tessera di partito, come l’ex killer della camorra del vesuviano: Romano, si sa, era stato iscritto al Partito Democratico di Castellammare di Stabia all’epoca delle prime grandi sceneggiate delle primarie per la scelta dei dirigenti locali e nazionali. La solita storia, insomma, che in certe parti d’Italia da commedia a volte si fa tragedia. Catello Romano non solo vi fu iscritto a quel partito quattro anni fa ma provvide pure ad «azzerarne» qualche carica istituzionale: nel senso che partecipò al commando che fece fuoco contro Gino Tommasino, consigliere comunale Pd, per conto di un gruppo camorristico che al rappresentante del partito intese far pagare uno sgarro. Lo rincorsero a piedi e lo finirono nella sua auto sbattuta contro un negozio nel tentativo di fuggire: a bordo c’era il figlio di poco meno di dieci anni, miracolosamente uscito illeso.

Bene: oggi apprendiamo che Catello, all’epoca dell’omicidio poco più che 19enne, reo confesso, si è convertito. Non al cattolicesimo e neppure all’islam come, pare, accada di frequente nelle patrie galere: no, su di lui è scesa la luce del Buddha e l’ha trasformato, facendo di quel ragazzo cresciuto a bussolotti di cocaina ed eroina, sparatorie e violenza all’interno della saga infinita e sanguinaria dei due clan storici di Castellammare, un uomo nuovo. Almeno così pare: buddhista, pacifista e vegetariano. In linea di principio un fatto positivo se sottrae qualcuno al crimine: tra l’altro, un dovere sancito dalla nostra carta costituzionale quello di favorire la libertà religiosa di ognuno.

Infatti ci ha pensato la Corte di cassazione a mettere le cose in chiaro, con la sentenza 41474/2013, stabilendo che è dovere del magistrato di sorveglianza «impartire disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati». Segue ragionamento tecnico, ma il concetto è chiaro. Dal momento che Catello lamentava l’impossibilità di praticare il proprio credo religioso e di alimentarsi in base alle relative convinzioni, ecco che ci hanno pensato i giudici con l’ermellino a definire la questione accogliendone il ricorso. Il magistrato di sorveglianza si ostinava a non concedergli nulla, di qui l’appello alla suprema corte, che ha emanato una sentenza che di certo farà da apripista per migliaia di casi analoghi.

Uno dei killer di Luigi “Gino” Tommasino, in pratica, potrà da questo momento ricevere nel carcere di Novara, un maestro zen e potrà anche farsi cambiare il menu da galera: solo cibi vegetariani, come impone il credo buddista. Non esattamente la prima tra le emergenze carcerarie, specie in questo frangente storico. Si tratta ora di capire come rendere praticabile il tutto. Sempre che vi si riesca per davvero.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 15 ottobre 2013)

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