ARCHIVIOMontepaschi, i guai di Mussari a Vallo della Lucania e la carcerazione di un politico basata (anche) su un errore blu

admin14/10/2013
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Montepaschi

Il tribunale di Vallo della Lucania ha fissato per il prossimo 27 novembre la data dell’udienza preliminare per decidere il rinvio a giudizio per Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, rispettivamente ex presidente ed ex direttore generale del Monte dei Paschi di Siena: banca che non ha certo bisogno di presentazioni, da qualunque prospettiva se ne osservino le vicende. Stavolta parliamo dell’ipotesi delittuosa tipica, quella consustanziale -diciamo- all’esercizio del credito: l’usura, uno dei reati più odiosi che il codice penale contempli, e il fatto che possa essere ricondotta a chi vende danaro con il sigillo statale, conferisce al merito dell’indagine penale un sovrappiù di ripugnanza.

 

Sempre che venga dimostrato, ovviamente, quanto il pm Alfredo Greco ha ipotizzato dopo la denuncia di un imprenditore cilentano che un bel giorno s’è accorto che in circolo gli mancavano diversi litri di sangue. Interessi su interessi su interessi su interessi e via all’infinito: ciò che tecnicamente si chiama anatocismo -espressamente vietato già in seconda battuta di calcolo- sarebbe sfociato in una vera e propria opera «cravattara». Una vecchia storia, capitata a chissà quante decine di migliaia di persone: di tanto in tanto qualcuno finisce con le dita nella porta, come recita il gergo, ed ecco che il caso esplode. Si veda quanto successo a Gioia Tauro, in Calabria, o di recente a Ferrara, con le condanne per i banchieri che iniziano a fioccare. 

Il titolare del fascicolo, Greco, è magistrato esperto ed equilibrato (fallibile, naturalmente, come tutti), se ha ipotizzato che a «strozzare» l’imprenditore di Agropoli abbiano concorso i vertici dell’istituto senese escludendo i livelli locali, considerati meri esecutori di ordini, è lecito supporre che la cosa abbia almeno un punto di partenza. Il che non è povera materia se si considera l’andamento medio delle indagini delle procure italiane. Quelle con al centro nomi e sigle altisonanti, poi, non ne parliamo. Ma questa è un’altra storia. 

Come lo è quella dell’ex sottosegretario andreottiano Paolo Del Mese, finito in un ingranaggio infernale azionato dalla procura di Salerno grazie alla celebre indagine sul crac del pastificio Amato. Anche in questa storia c’entrano Mps e Mussari, almeno stando alle risultanze investigative sin qui acquisite. La vicenda è nota, i media hanno inondato ogni angolo srotolando chilometri di ordinanze, decreti e verbali della procura. Sembra strano, però, che non ci si sia accorti di un «dettaglio» fondamentale, cioè del madornale svarione dei magistrati che a Del Mese hanno già fatto fare un anno di custodia cautelare, con tutto ciò che ne consegue. Nello stralcio dell’ordinanza di misura applicativa coercitiva del 21 giugno 2012, nel riassumere la vicenda della bancarotta del gruppo Amato, si elencano le dichiarazioni dei vari indagati a proposito di «costi della politica», «tangenti» e via di seguito: ciò in funzione del fatto che le domande dei magistrati, tese a capire come sia stato possibile un così rapido depauperamento aziendale (il crac è nell’ordine di circa 150mln), miravano anche a scardinare gli addentellati politici degli imprenditori e di chi vi girava intorno, censurando la disinvoltura nella concessione del credito ad un’impresa ormai decotta. A giustificazione dell’arresto di Del Mese si invocava così una circostanza che, a rileggere il passaggio dell’ordinanza del gip, appare singolare. Eccola: «Le dichiarazioni degli  Amato trovano indubbio riscontro negli incarichi politici ricoperti da Paolo Del Mese. Costui, eletto deputato il 21 aprile 2006 e cessato dal mandato in data 28 aprile 2008, dal 6 giugno 2006 al 28 aprile 2008 ha ricoperto l’incarico di Presidente della VI Commissione Finanze. In tale veste egli ha licenziato il c.d. decreto salva banche (D.L: 13 ottobre 2008, nr.157) e, in tale veste, non poteva non avere un forte “potere contrattuale” nei confronti dell’intero ceto bancario nazionale». 

Chiaro? Secondo i magistrati Del Mese andava sbattuto in galera sulla base di questo ragionamento (oltre che per la nota storia del prestito da 900mila euro ottenuto dagli Amato e che per gli inquirenti, brutalizzando il concetto, è frutto della corruttela e del concorso nella bancarotta). E così, infatti, è stato. Ora, a parte che il «non poteva non avere un forte potere contrattuale nei confronti dell’intero ceto bancario» rende il ricordo  di Enrico Cuccia paragonabile ad un personaggio minore rispetto a Del Mese; al di là dell’identificazione tra esercizio dell’attività politica (la elaborazione di una legge, teoricamente insindacabile) e commissione generica di un reato potenzialmente diretto erga omnes, resta una domanda fondamentale: qualcuno ha mai sentito che un decreto legge lo vari una commissione parlamentare e non il governo?

Si dirà: ma il senso è chiaro del ragionamento, non stiamo qui a sottilizzare. D’accordo, vista comodamente dalle nostre poltroncine potrebbe pure starci: il punto è che bisognerebbe dirlo a chi si fa mesi o anni di carcere (anche se poi venisse condannato) sulla base di questi sfondoni, che si tratta di «trascurabili dettagli».

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Cronache del Salernitano” del 14 ottobre 2013)

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