ARCHIVIOChiesa: il cambio del parroco e quel complicato «odore delle pecore»

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Giffoni VP chiesa ss.annunziata

“L’avvicendamento di un parroco è anche l’occasione per ridefinire l’ordine delle priorità in una parrocchia”: è stata questa la conclusione dell’omelia di mons. Luigi Moretti, arcivescovo di Salerno, nella cerimonia di presentazione del nuovo titolare della parrocchia della SS. Annunziata (foto) di Mercato di Giffoni Valle Piana martedì 17 settembre. 

D. Alessandro Bottiglieri, sostituendo D. Vito Granozio, diventa il primo parroco a Giffoni della neo costituita unità parrocchiale tra le parrocchie della SS. Annunziata e di S. Lorenzo a Calabrano in Vassi, che, pur conservando la loro personalità giuridica di diritto pubblico oltre che canonico, vengono incorporate nella persona di un solo parroco per affinità di contesto.

Primicerio – parroco dell’Annunziata secondo l’antico titolo riservato a tre sole chiese di tutta la pur estesa diocesi salernitana. Questa è stata la motivazione del decreto di nomina datato 13 settembre, letto nella celebrazione, benché la notizia degli avvicendamenti parrocchiali fosse stata già diffusa ufficialmente dal sito dell’arcidiocesi nell’agenda arcivescovile oltre un mese prima. Una singolare circostanza, che forse registra la cautela con cui il codice di diritto canonico disciplina il trasferimento di un parroco, giustificato solo dal “bene delle anime o dalla necessità e dall’utilità della Chiesa”, come ricorda il canone 1748.

Nello stesso decreto di nomina, a proposito della creazione dell’unità pastorale, si ricorda che la decisione è stata assunta “sentito il consiglio episcopale e il vicario foraneo” e si fa invito a D. Alessandro a “stare in mezzo alla gente per sentire l’odore delle pecore”. Due affermazioni che in verità sembrano confliggere tra di loro, se solo si pensa che in ogni parrocchia è costituito un consiglio pastorale, nel quale i fedeli “prestano il loro aiuto nel promuovere l’attività pastorale”, che è trasposizione, in qualche modo, del famoso “odore delle pecore”. Espressione famosa perché lanciata quasi come slogan da Papa Francesco nell’omelia della sua prima messa crismale, fatta propria da mons. Moretti in atti ufficiali pur senza la conseguenza pratica di una consultazione di quegli organi che coadiuvano nella pastorale e in difformità dal suo stesso invito alla corresponsabilità dei laici. E soprattutto in una questione così delicata come l’incorporazione di due realtà parrocchiali distinte per tradizioni, componenti sociali e tessuto urbano per quattro quinti della popolazione totale di Giffoni.

Quanto all’ordine delle priorità da ridefinire, dalle raccomandazioni finali del vescovo al nuovo parroco, sembra che debbano essere individuate nella promozione della pastorale giovanile e della famiglia. A parte la scontata attenzione che la Chiesa dimostra da sempre per la crescita spirituale e culturale dei giovani, nonché la sollecitudine per la famiglia, istituzione quanto mai minata a livello di pensiero dominante, la focalizzazione in termini di pastorale denuncia una riconduzione a linee – guida che nel decreto vengono ricordate sotto forma di armonizzazione con le direttive dell’agenda diocesana. Al tempo stesso, il ricorso ormai imperante al sostantivo “pastorale” di diretta derivazione conciliare ricorda “l’araba fenice, di cui tutti parlano, ma che nessuno vede”, come l’acuta analisi di mons. Brunero Gherardini, decano emerito della Pontificia Università Lateranense, l’ateneo del Papa dove pure Moretti si è formato, ha etichettato una delle elaborazioni conciliari di maggior successo. Concetto così vago e pur così imperante al punto che come pastorale può essere accreditato di tutto, dal convegno autoreferenziale alle pianificazioni d’intervento religioso. Chissà se è questo il senso autentico del “sentire l’odore delle pecore” o, a richiamarsi direttamente alle parole del Vangelo, del “Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”.

Forse a questo proposito, sarebbe il caso di ritrovare le ragioni di una spontaneità “pastorale” che nasce dall’incontro reale con l’umanità piuttosto che dalla propensione alla pianificazione ex alto et ex auctoritate. Alla fine resta fondamentale quanto richiamato da Moretti circa l’obbligo per i fedeli di accrescere la loro fede all’interno della Chiesa, ma con contenuti che restano svincolati da ogni azione di promozione, essendo piuttosto legati all’incontro con la persona di Gesù, come peraltro ribadito dal vescovo stesso.

In ogni caso, l’intuitus fidei del Popolo di Dio ha riservato una calorosa ovazione alla menzione del nome di D. Vito Granozio, come pure ha tributato lo stesso applauso a D. Alessandro e a D. Geremia, sacerdote del Burundi, in Italia per perfezionare gli studi ecclesiastici, che nei ritagli di tempo dagl’impegni accademici romani presterà la sua opera nella neo formata unità pastorale.

Nel decreto di nomina si è fatto riferimento anche al rispetto cui è tenuto il parroco per la celebrazione dei Sacramenti secondo le prescrizioni del direttorio diocesano promulgato un anno fa. Lo stesso direttorio prevedeva la valorizzazione della tradizione di canto gregoriano sin dalle sue espressioni più semplici come la Missa de Angelis. I canti eseguiti da una corale locale, cui pure si deve riconoscere buona tecnica, erano tutti modulati più su un famoso musical italiano a sfondo religioso degli anni ’70 che su quella tradizione cui il direttorio, concepito ancora sotto Benedetto XVI, intendeva prestare ossequio. Nicola Russomando

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Redazione Eolopress

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