Il prezzo del latte italiano alla stalla sale ancora e raggiunge un nuovo record toccando i 51,55 centesimi al litro, in aumento del 25% rispetto allo scorso anno, nell’ultima quotazione “spot” settimanale alla borsa di Verona che è insieme a quella di Lodi il punto di riferimento nazionale. Lo rende noto la Coldiretti nel sottolineare che a crescere su valori massimi sono stati anche i prezzi del latte pastorizzato importato con quello in arrivo dalla Germania che ha toccato il record di 52,58 centesimi al litro.
Le quotazioni continuano dunque a crescere e – denuncia la Coldiretti – arriva a circa 100 milioni di euro il valore della speculazione che le industrie possono realizzare sottopagando il latte agli allevatori ad appena 42 centesimi al litro, secondo l’ultimo accordo siglato con alcune organizzazioni di settore per il semestre agosto 2013 – gennaio 2014 in Lombardia, dove si produce il 40 per cento del latte italiano. Un accordo che la Coldiretti ha responsabilmente rifiutato di firmare e che sta costando caro agli allevatori costretti ad affrontare un aumento stellare dei costi energetici e dell’alimentazione del bestiame che ha fatto chiudere le stalle. Con questi prezzi – spiega la Coldiretti – alle industrie conviene comprare il latte italiano sulla base dell’accordo a 42 centesimi al litro, visto che costa meno. Poi c’è anche chi lo rivende, lucrando sulla differenza di quasi 10 centesimi al litro con le quotazioni dello spot. E’ un fiume di soldi nelle tasche di pochi, mentre gli allevamenti resistono a fatica e diversi chiudono. Dall’inizio della crisi nel 2007 ad oggi in Italia hanno cessato l’attività oltre seimila allevamenti con la produzione di latte che nei circa 38mila allevamenti rimasti nei primi sei mesi del 2013 si è ridotta in media di oltre il 3% rispetto allo scorso anno, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Agea, ma è possibile che il deficit possa ulteriormen te aggravarsi. Il taglio della produzione – conclude la Coldiretti – è stato del 2,45%, in Lombardia, 2,15% in Emilia Romagna, del 2,73% in Piemonte, del 5,86% in Friuli, del 4,70 in Veneto, del 7,86% nel Lazio, del 5,40% in Puglia, del 4,89% in Campania e del -4,76% in Sardegna, con il record negativo fatto segnare nelle Marche (-10,32%).