“La fede è la sostanza delle cose che si credono, la prova di quelle che non si vedono”: è questa la celebre definizione della fede dell’Autore della lettera agli Ebrei, che, pur non citata esplicitamente nel testo, percorre tutta l’enciclica Lumen fidei, oggetto di riflessione all’annuale convegno degli ex alunni della Badia di Cava, tenuto domenica 8 settembre. Relatore il prof. Giuseppe Acocella (al centro nella foto) ordinario di Filosofia del Diritto alla Federico II di Napoli, membro del CNEL, già rettore della Luspio, cattolico di ispirazione salesiana.
E, in effetti, la lettura data da Acocella all’ultima enciclica papale, firmata da papa Francesco, ma il cui impianto e orditura sono da ricondurre a sicura matrice ratzingeriana, come del resto viene dichiarato verbis apertis al capitolo 7, si è attestata su una mera funzione di guida, “rischiando ogni interpretazione di sovrapporsi in qualche modo al testo”. Al di là della dichiarazione di principio, il relatore non ha mancato di evidenziare gli snodi centrali del pronunciamento papale, soprattutto laddove questi costituiscono materia di opposizione a quello spirito naturalistico che inquina il senso autentico della fede cattolica.
Sin dall’immagine più scontata del naturalismo, la luce solare, ricordata nell’enciclica per la sua incapacità di illuminare sulle realtà ultime dell’uomo, “il sole, infatti, non illumina tutto il reale, il suo raggio è incapace di arrivare fino all’ombra della morte”. Superata, dunque, ogni riduzione della fede all’esperienza del reale, ricordata nell’enciclica anche con la citazione di Nietzsche tra felicità dell’anima costituita dalla fede e amore della verità rappresentato dall’indagine, Acocella ha evidenziato come la fede realizzi tutta la sua valenza nel duplice rapporto con la salvezza individuale e con la dimensione ecclesiale della sua piena esplicazione. Se, infatti, la fede in Cristo è fonte di salvezza, in quanto segno di un “Amore che ci precede e ci trasforma dall’interno, che agisce in noi e con noi”, è il professare la fede della Chiesa la matrice della sua autenticità. Qui il relatore, pur menzionando incidentalmente l’antico brocardo, extra ecclesiam nulla salus, “non c’è salvezza fuori della Chiesa”, ha preferito rapportarsi all’immagine paolina del corpo mistico a cui partecipano tutti i credenti, ripresa anche dall’enciclica.
La misura della fede è data infatti dall’appartenenza alla Chiesa che, secondo una felice definizione di Romano Guardini, è “la portatrice storica dello sguardo plenario di Cristo sul mondo”, in cui l’individualità del fedele ritrova il nesso di unità con il tutto. Ancora lo spazio ecclesiale della fede è garantito dalla memoria che ne assicura la trasmissione. La Lumen fidei iscrive un intero capitolo sotto il versetto paolino “Vi ho trasmesso quel che ho ricevuto”, che è la formula con cui Paolo autentica le parole eucaristiche di Gesù all’ultima cena. Una scelta non accidentale, che Acocella non ha mancato di sottolineare, che colloca la fede nello spazio della professione, dei sacramenti, del decalogo e della preghiera, le forme attraverso le quali la Chiesa comunica l’unità e la perpetuità della fede. La stessa chiusa dell’enciclica modulata sulla citazione dalla Lettera agli Ebrei “Dio ha preparato per loro una città”, sta ad indicare, secondo le linee guida del relatore, la solidità del patto che lega l’uomo a Dio. E qui la fede ritorna al suo significato etimologico, ratzingerianamente proposto all’inizio della lettera. Fede che in ebraico coincide con il termine ’emûnah, indicando, allo stesso tempo, la fedeltà di Dio alle sue promesse e la fede dell’uomo nelle promesse di Dio, atteggiamento che in greco è tradotto con pistós, in latino con fidelis, tutti ad indicare la solidità del rapporto tra Dio e l’uomo, garantito da una “parola data”.
Tutti aspetti che il prof. Acocella ha percorso nel proclamato intento di fornire una guida alla lettura dell’enciclica che costituisce il trittico di Benedetto XVI sulle virtù teologali con la Deus caritas est e la Spe salvi, nel riconosciuto primato dei suoi contenuti teologici. Una lettura questa che s’impone anche all’attenzione di una Chiesa che spesso ha rinunciato a parlare delle realtà ultime dell’uomo, morte, giudizio, inferno e paradiso, i novissimi del catechismo. Vi ha fatto riferimento lo stesso Acocella, quando ha ricordato l’episodio di una sua ricerca di un sacerdote in grado di dissuadere un giovane con intenzioni di suicidio. Dopo vari tentativi presso preti impegnati in attività variamente sociali, la ricerca si rivelò fruttuosa solo presso un vecchio parroco evidentemente abituato alla trasmissione di quelle verità che sono sostanza e speranza della fede. Caso di per sé emblematico in un panorama dominato dalle più variegate sollecitazioni pastorali.
L’assemblea annuale degli ex alunni della Badia è stata presieduta per la prima volta nella sua storia da D. Leone Morinelli nella duplice veste di Amministratore apostolico e di assistente della stessa associazione. Il tutto risolto senza “conflitti di attribuzioni”, con il solo esercizio delle funzioni di illustrazione del bilancio annuale del sodalizio che registra una partecipazione da parte degli ex alunni non commisurata al numero degli aventi causa. Ma anche questa è materia di una “fedeltà” che la Badia assicura ai suoi ex alunni in attesa di esserne ricambiata, con lo slancio richiesto dalla fede e nell’espressione di gratitudine per quanto ricevuto.
Nicola Russomando
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