ARCHIVIOIl parroco trasferito e l’amarezza obbediente del suo popolo

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Don Vito Granozio Giffoni

GIFFONI VALLE PIANA (SA)- In questi giorni l’abitato di Giffoni Valle Piana è stato tappezzato di manifesti di grande formato (100 x 70) dal titolo “Grazie Don Vito”, e con sottotitolo “Dopo 17 anni d’intensa vita parrocchiale dedicata agli ultimi, Don Vito Granozio viene trasferito”, con chiaro riferimento all’annunciato trasferimento del parroco della SS. Annunziata e di S. Giorgio Martire di Giffoni, decisa da mons. Moretti, anche se non ancora ufficializzata da un decreto.

 

Firmato dalla “Comunità parrocchiale”, il manifesto dal tenore pacato e misurato, nel ribadire obbedienza all’arcivescovo, intende esprimere a nome della cittadinanza gratitudine per “l’intensa attività pastorale, l’infaticabile cammino di fede e di rinnovamento culturale” assicurato dal sacerdote alla parrocchia a beneficio di varie categorie sociali. Se il provvedimento rientra nella normale turnazione cui sono sottoposti i parroci ogni nove anni per decisione della Conferenza episcopale italiana, in deroga a quanto stabilito dal diritto canonico in tema di stabilità dei parroci, la decisione non ha mancato di suscitare “sgomento e amarezza”, come ricordato nello scritto.

Amarezza che è facile intuire possa insorgere dopo una così lunga permanenza sul territorio, cui però non va disgiunta la perplessità per quanto si connette alla decisione di Moretti. Sembra, infatti, che l’avvicendamento di D. Vito (al centro nella foto) preluda anche alla creazione di un’unità pastorale nella persona di un solo parroco tra le parrocchie di Mercato e di Vassi, le due frazioni più popolose di Giffoni, ormai conurbate, ma pur sempre distinte per precedenti storici e realtà sociali. Differenze che indussero nel 1838 l’arcivescovo Marino Paglia ad erigere la ricettizia della SS. Annunziata in parrocchia in coincidenza con quello che fu il successivo sviluppo urbano di Mercato di Giffoni.

I tempi cambiano come pure i vescovi, pur tuttavia non si può negare un certo approccio disincarnato alla questione, frutto più di programmazioni generali che di valutazioni prese sul campo. Un atteggiamento questo che non appare proprio all’unisono con l’indirizzo di Papa Francesco, che invita invece i Pastori a sentire “l’odore delle pecore”.

Bella e incisiva espressione che sta a significare la necessità di una vicinanza anche materiale alla “porzione di Popolo di Dio” affidata ad ogni Vescovo. Qui non si vuol dire che mons. Moretti è lontano dalle istanze del suo popolo, ma quella propensione alla programmazione, alle pianificazioni dei convegni diocesani, rischia di circoscrivere la realtà entro linee guida, tipiche degli apparati burocratici delle amministrazioni pubbliche. 

Benedetto XVI nella sua ultima visita pastorale alla chiesa tedesca, la più strutturata in senso burocratico tra quelle europee, stigmatizzò i rischi dell’iper-organizzazione, nella dialettica tra “competenza tecnica e amore” . Cosa che non sorprende in un Papa che di tedesco aveva solo la nobile origine, per il resto convinto romano.

Ancora più efficacemente, Papa Francesco, non impropriamente definito “Curato universale” dal Foglio, incontrando di recente i nunzi apostolici ha ricordato che i Pastori devono precedere le pecore, talvolta seguirle o anche stare in mezzo al gregge, perché, in ogni caso, “le pecore hanno il senso della strada”. Quella che è attitudine naturale nelle pecore è intuito della fede nel Popolo di Dio, che riesce a trovare la strada pur tra le difficoltà del cammino o della guida. Parola di Papa!

Nicola Russomando

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Redazione Eolopress

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