ARCHIVIOBadia di Cava, la «schola dominici servitii» passa di mano

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Abate Giordano Rota

Commiato dell’abate Giordano Rota (foto) alla Badia di Cava nella messa domenicale del 7 luglio. Dopo oltre due anni da amministratore apostolico, Rota lascia il governo dell’abbazia territoriale cavense con la contestuale nomina di D. Leone Morinelli, priore claustrale, ad amministratore apostolico. Il tutto per decreto della Congregazione per i Vescovi notificato il 30 giugno e a seguito, evidentemente, della rinuncia di Rota.

 

La messa di commiato è stata seguita dal saluto del sindaco di Cava Marco Galdi, del consigliere regionale Giovanni Baldi, che hanno voluto ricordare l’impegno profuso da Rota in particolare in occasione delle celebrazioni del millennio, e dal vicario generale della diocesi di Amalfi-Cava, mons. Osvaldo Masullo, latore di un messaggio personale dell’arcivescovo Soricelli.

E’stato, comunque, lo stesso D. Leone Morinelli, con il suo indirizzo di saluto, a riassumere il senso più autentico della presenza di Rota a Cava. Sin da quando iniziò il suo ministero di amministratore esordendo, programmaticamente, con “il piacere di servire”, in linea con il “servizio ai caratteri di molti e il governo delle anime”, assegnato dalla Regola per compito all’abate. E con lo stesso spirito di servizio ha saputo reggere l’abbazia tra il ridimensionamento della giurisdizione territoriale, ora limitata al complesso abbaziale e alle sue immediate pertinenze, e l’incorporazione della congregazione cassinese, di cui Cava era parte, entro quella sublacense. Anzi, a questo storico risultato, auspicato già sotto il pontificato di Pio XII, si è giunti, come sottolineato da D. Leone, grazie all’abate Rota, il quale, appena quarantenne, ha saputo scendere “dal piedistallo” di presidente della congregazione cassinese per confluire nel consiglio della ricostituita famiglia benedettina italiana. Una vera lezione di umiltà nella sequela di S. Benedetto, che insegna come ogni esaltazione sia espressione di superbia.

All’opposto D. Giordano Rota, “non anteponendo nulla a Cristo”, ha servito la Badia e la sua comunità monastica con cristiana discrezione in un momento particolarmente delicato della sua storia millenaria. E la naturale commozione del distacco è stata da D. Leone significata con la citazione manzoniana per cui “Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne una più grande”. Tributo al lombardo Rota che ritorna ora nella sua Pontida, così vicina ai luoghi in cui Alessandro Manzoni inscenò il grande teatro della Provvidenza del suo romanzo. E, a proposito di Provvidenza, essa non è mancata nel ringraziamento di Rota, che l’ha vista in azione soprattutto all’inizio del suo insediamento, con tutta la delicatezza di tatto imposta dal dimissionamento del predecessore Chianetta. Quella stessa Provvidenza che continuerà a guidarne i passi, per cui non è difficile prevedere la prossima elezione ad abate proprio a S. Giacomo di Pontida, che ne ha già accolto la professione monastica e l’elezione a presidente dei cassinesi. E a Pontida, come da sua ammissione, porta il calore dell’esperienza vissuta a Cava, di cui i fedeli della Badia e una nutrita rappresentanza dell’iniziativa “la Badia apre ai giovani”, gli hanno tributato un’affettuosa attestazione.

Quanto alla Badia, la nomina di D. Leone Morinelli ad amministratore apostolico dovrà garantire la transizione verso l’elezione di un nuovo abate, che la recente adozione delle regole della congregazione sublacense rende più agevole in ordine ai requisiti numerici della comunità. La scelta di D. Leone appare come la soluzione più naturale, intra moenia, per affrontare questi delicati passaggi. Con oltre cinquant’anni di professione monastica, priore dal 1987, eccettuata una breve intermissione, una vita tutta spesa alla Badia di Cava come docente di latino e greco nel suo liceo e come rettore del collegio S. Benedetto, quindi come archivista e bibliotecario, D. Leone Morinelli è un maestro della schola dominici servitii (la scuola del sevizio divino), è espressione del fortissimum coenobitarum genus (la fortissima specie dei monaci cenobitici). Il tutto nella professione di quell’umiltà, a cui si è conformato nella lettera dei dodici gradi delineati da S. Benedetto, per cui anche l’accettazione di questa nomina si configura come sacrificio della personale volontà.

Del resto, l’obbedienza alla volontà divina, come ricorda la Regola ai monaci, è tra gli strumenti di quelle buone opere, ripagate con un compenso “che l’occhio non ha visto, l’orecchio non ha sentito, che ha preparato Dio per quelli che lo amano”.

Nicola Russomando

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Redazione Eolopress

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