Sono quelle storie che spiegano perché, solo a nominarla, la politica crei tanto fastidio. Nulla di paragonabile ai miliardi di euro bruciati per burocrazie, pubblico impiego e clientele, ma pur sempre all’origine del famoso «distacco della gente». Parliamo dell’ennesimo scandalo dei rimborsi ai gruppi consiliari delle Regioni per coprire spese private.
C’è stato il tempo della Lombardia, poco prima quello del Lazio con il celebre Batman della Ciociaria (il mitico Fiorito), della Sicilia, del Piemonte, della Liguria e via dicendo: ovunque punti il periscopio la lente rifletterà sostanzialmente sempre la stessa immagine. Ieri è toccato alla Campania, la cui assemblea legislativa è stata colpita dallo schiaffo giudiziario con la notifica di 53 avvisi di comparizione ad altrettanti consiglieri: si ipotizzano la truffa e il peculato.
Un’inchiesta nata alcuni mesi fa quando si iniziò a paventare l’idea che anche da quelle parti si fosse diffuso il costume -chiamiamolo così- raccontato giorno dopo giorno dai mass media relativamente a ciò che accadeva nel resto del Paese: impossibile sbagliarsi, stavolta, tant’è che un paio di esponenti politici erano stati ammanettati dopo che dal Fondo per la Comunicazione dell’ente diverse decine di migliaia di euro avevano preso altri lidi rispetto alle finalità istituzionali. Ora il cerchio s’è allargato, il procuratore aggiunto Francesco Greco (solo omonimo del milanese di Mani Pulite) e il pm Giancarlo Sirleo (uno dei due del processo Bassolino per i rifiuti) chiedono conto di quel milione e 600mila euro circa che la quasi totalità dell’assemblea avrebbe bruciato dal 2010 al 2012, il periodo passato ai raggi x dopo una mastodontica opera di acquisizione di atti e documenti svoltasi nel corso degli ultimi mesi.
E qui ci troviamo di tutto, nel senso che i capigruppo dei vari partiti e gli stessi consiglieri, sembra non si facessero mancare alcunché. Un po’ come i colleghi del Molise, dove un’analoga iniziativa, per ora solo della magistratura contabile, ha smascherato un membro dell’assemblea che si sarebbe fatto rimborsare perfino qualche centinaio di euro spesi in un night club a luci rosse tra signorine allegre, lap dance e chissà cos’altro. In questo caso il problema è semmai di intelligenza del soggetto più che di malafede in senso stretto.
Tornando al blitz napoletano di ieri, ne troviamo per ogni gusto: dalle spese per la tintura dei capelli ai giocattoli per bimbi, dai cioccolatini a bottiglie di vino, dalle solite cene e viaggi di piacere alle visite mediche specialistiche, dal finanziamento di siti web all’acquisto di quotidiani ed altri giornali cartacei. Lista lunga, non diversa da altrove.
Stefano Caldoro, il presidente, è l’unico a non esser stato manco sfiorato dall’indagine perché i magistrati hanno verificato che dal fondo destinato alle spese non ha attinto neppure un centesimo. Si tratta di cifre oscillanti da importi minimi (1300 euro per un piddino) fino a oltre 30mila contestati ad un consigliere Idv: è proprio il partito di Di Pietro, se ancora si chiami così, ad occupare il podio come gruppo maggiormente «allegro» (il 95% dei soldi deve essere giustificato) secondo la ricostruzione fatta dal consulente della procura, il commercialista Paolo Barba. Dopo l’Idv, al secondo posto si piazza il Nuovo Psi, partito del governatore, che tra occhiali da vista, sigarette, cd, dvd, deodoranti e profumi avrà qualche seria gatta da pelare. Segue il Pdl e a strettissimo giro il Pd, poi altre sigle minori. Anche Sandra Lonardo Mastella risulta interessata per una piccola spesa di 7500 euro sprovvista di adeguato giustificativo.
E pensare che la Campania, dati alla mano, ha il Consiglio regionale che in Italia ha ridotto più di altri le spese di bilancio.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 4 luglio 2013)