ARCHIVIO«In bancarotta per i pm»: giustizia peggio della crisi

admin06/06/2013
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La politica frena lo sviluppo. La burocrazia non ne parliamo. L’euro poi ci ha massacrati. La corruzione, peggio che andar di notte e le mafie ci danno il colpo di grazia. Le aziende chiudono, la gente finisce in strada e ci troviamo con un Pil che si assottiglia col trascorrere delle ore. Lo schema, in genere è questo. E i danni causati dalle iniziative giudiziarie al tessuto produttivo, alle imprese, ai dipendenti e, quindi, alle persone che vi sono dietro? Come mai non se ne sente parlare alla stessa stregua?

 

Semplice: l’informazione mainstream evita e spesso eleva a feticcio la magistratura, preferendo sparare a palle incatenate sulla politica o su altro. Uno sport facile, lo sanno fare tutti ormai. Eppure di ricchezza che va a farsi benedire a causa delle «stravaganze» della magistratura ce n’è a iosa. Lasciando da parte gli aspetti di natura politica sottesi a famose indagini, il territorio italiano pullula di casi meno blasonati che, al netto delle mere delinquenze, fanno registrare vere e proprie tragedie per milioni di famiglie.

Alberghi e complessi turistici sequestrati perché magari in quell’area nidificano uccelli che nessuno ha mai visto; permessi a costruire e licenze per capannoni industriali validi ed efficaci per tutti gli enti meno che per qualche sostituto procuratore; piccoli e grandi insediamenti soffocati da visite continue di inquirenti specializzati in altro, magari il Corpo forestale alle prese con l’urbanistica o la Finanza con i Piani spiagge. Si potrebbe continuare all’infinito. Non c’è, dunque, solo l’Ilva di Taranto, così come non c’erano soltanto i cantieri dei Mondiali di calcio o di nuoto, i consorzi industriali nelle aree depresse e meno depresse in Friuli o in Campania, la portualità in Liguria, la logistica in Emilia o in Puglia, i lotti da risanare in Lombardia.

L’ultima, paradossale, vicenda arriva da Salerno e riguarda l’ormai ex gruppo “Maiolica”, un tempo leader nel commercio al dettaglio e nella produzione alimentare. “Ex” perché ormai non esiste più, distrutto da una baldanzosa inchiesta della procura di Salerno, finita nel nulla dopo dieci anni. Una storia allucinante, come tante e come altre ancora ci saranno.

Siamo nel 2003, la famiglia Maiolica acquista dei suoli nell’area Asi di Salerno che un tempo appartenevano all’Ideal Standard e su cui, nelle previsioni degli strumenti urbanistici, avrebbe dovuto sorgere prima un parco marino e poi, dopo, una centrale termoelettrica. Per farla breve, il sostituto procuratore del tempo Gabriella Nuzzi (vicina a De Magistris, la stessa che scatenò la guerra tra Salerno e Catanzaro e che fu poi trasferita dal Csm) parte in quarta ed indaga 40 persone, tra questi i fratelli Maiolica, per lottizzazione abusiva. Coinvolti -secondo il cliché- politici, tecnici, funzionari, imprenditori, etc.

Era il 30 dicembre 2003, esattamente 42 giorni dopo che i Maiolica ebbero perfezionato l’acquisto dei suoli ex Ideal Standard. Il pm era convinto che fossero ancora dei vecchi proprietari (del Sea Park). Fu avvisata che c’erano altri proprietari ma niente da fare: racconta Lorenzo Maiolica al Corriere del Mezzogiorno di aver tenuto cinque ore i carabinieri dinanzi ai cancelli cercando di spiegare ma, raggiunta telefonicamente, il pm disse ai militari «Noi diciamo che sono Sea Park, sequestrateli e basta». Fu l’inizio della fine perché neppure altre due pronunce di dissequestro del Riesame furono sufficienti a fermare il perverso meccanismo che scatta in questi casi. Il danno, cioè, di immagine causato dall’inchiesta fu enorme: le banche si ritirarono come sempre fanno, i fornitori, spaventati, partirono all’assalto, di qui alla bancarotta il passo fu breve. Infatti il gruppo fu dichiarato fallito, l’anziano papà fondatore dell’azienda trascinato nell’umiliazione di un affidamento ai servizi sociali, uno dei figli condannato ad un anno e 8 mesi per bancarotta.

E alla fine? Eccola qui la fine: il 20 maggio scorso il tribunale mette nero su bianco che i Maiolica sono innocenti «perché il fatto non sussiste». Dieci anni per dirlo, per dire cioè che quella lottizzazione abusiva non c’è mai stata. Nel mezzo, la distruzione di un gruppo che fatturava 80 milioni di euro, con 25 punti vendita e 300 dipendenti già mandati a casa.

Oggi i Maiolica fanno sapere che stanno per formulare una richiesta di risarcimento danni allo stato per 30 milioni. Un primo passo che -ove mai fosse possibile percorrere- se iniziassero a seguire tutte le vittime della giustizia italiana, forse qualcosa cambierebbe. Forse.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 6 giugno 2013)

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