Fuori un altro, avanti un altro. In attesa del prossimo caso di detenzione ingiustificata nelle patrie galere, c’è da raccontare la storia di Ferdinando Gencarelli, impiegato pubblico con 30-mesi-30 di carcere da innocente. Carcere dal quale è uscito l’altro giorno «per non aver commesso il fatto».
Siamo ad Acri, provincia di Cosenza, terra bella ed aspra come solo alcune zone della Calabria sanno esserlo. E’ il 26 settembre 2008, qualcuno era appena entrato nel suo terreno portando via un piccolo quantitativo di noci: cose che accadono tutti i giorni, in verità, e ad ogni latitudine. Quel qualcuno era Antonio Sposato, meglio conosciuto come “Lupin”, alias che è già tutto un programma per via di una certa inclinazione ad appropriarsi della roba altrui. Sposato viene fatto secco a pochi passi dall’abitazione in contrada Pietremarine di Acri, dove risiedeva con la famiglia. Colpi di fucile che non gli lasciarono scampo.
Il misterioso assassino, però, rimase tale per diverso tempo, fino a quando gli indizi non condussero i pm titolari dell’indagine, Salvatore Di Maio e Giuseppe Visconti, a Ferdinando Gencarelli. Ci vollero tredici mesi per identificarlo, anche perché la famiglia della vittima sembra non sia stata particolarmente «collaborativa» con l’autorità giudiziaria: fenomeno non infrequente in determinati contesti, specie nel Mezzogiorno.
Gencarelli venne comunque arrestato e sbattuto in galera: omicidio aggravato da futili motivi, fu l’accusa, dove per futili motivi sono da intendersi le quattro noci rubate nel campo, rivendute poi ad un ambulante che le avrebbe acquistate per l’astronomica cifra di euro quindici. Si dice che a volte si ammazzi per molto meno, anche se meno di quindici euro, finora, non si capisce cosa possa esserci.
Per quel pugno di noci, in pratica, Lupin ci avrebbe rimesso la vita: ecco perché al termine della requisitoria del processo di primo grado la pubblica accusa ha chiesto per Gencarelli ventiquattro anni di galera, dove, tra l’altro, l’uomo già si trovava da diverso tempo. Cioè da trenta mesi, di cui solo gli ultimi cinque ai domiciliari. Gli avvocati difensori, Marcello Manna e Angelo Pugliese, hanno invece ribaltato il tutto riuscendo a dimostrare che Gencarelli non c’entrava: gli elementi di prova forniti dall’accusa e la madre della vittima che indica l’assassino con un «ritardo» di 13 mesi non sono convincenti. Tesi accolta dal collegio giudicante della Corte d’Assise di Cosenza che l’ha riconosciuto innocente ordinandone l’immediata scarcerazione.
Come si diceva, avanti il prossimo.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 24 maggio 2013)