ARCHIVIOL’inchiesta: città martoriate dalle strade-gruviera, ma i soldi per ripararle non ci sono

admin04/04/2013
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Buche in strada

Paese che vai, buca che trovi. Eccolo finalmente l’elemento unificante della nazione, ciò che affratella ottomila comuni e azzera le diversità, vere o presunte, da nord a sud, da est ad ovest. Parliamo delle buche in strada, le odiate pozzanghere col trucco, autentiche foibe occultate in questi giorni da chissà quanti metri cubi d’acqua e che, inesorabilmente, costringono tutti noi a fare i conti con la realtà delle amministrazioni locali.

 

Che è sempre la stessa: non c’è un centesimo per l’acquisto del bitume per colmare il fosso, stirare il catrame, pagare gli operai e rendere il manto più o meno civile. Non ce n’è al Comune né alla Provincia e neppure negli altri enti pubblici competenti qui e lì.

Ma è sempre così, è davvero questa l’unica spiegazione delle celebrate «strade gruviera»? Può essere la crisi economica la spiegazione di questo incrocio fatale tra penuria di mezzi e pioggia a catinelle in un abortito inizio di primavera? In linea generale sì, a qualsiasi latitudine la si osservi, la situazione presenta lo stesso ritornello: non abbiamo soldi, le casse sono vuote, non riusciamo a pagare gli stipendi figuriamoci se possiamo sopportare costose manutenzioni.

In realtà, accanto ad una ragione «strutturale», se ne scorge qualche altra legata alla singolarità delle situazione italiana, fatta di Patti di stabilità (?) che non si possono sforare, cioè soldi nel cassetto che ci sono ma non ci sono, rimpalli di responsabilità tra enti contigui o contrapposti, fondi che non si riesce a sbloccare per paura che ti saltino addosso pm e finanzieri, imprese che non accettano i lavori perché sanno che i soldi li vedranno nel millennio a venire, corti circuiti vari tra amministrazioni e società miste dove nessuno riesce a raccapezzarsi nel labirinto delle famose «competenze». 

Resta però il guaio, che è vero e serio: non foss’altro perché, oltre ai danni materiali ai mezzi di trasporto che migliaia di individui ogni giorno sopportano, ci sono le lesioni fisiche subite da motociclisti, ciclisti e automobilisti che hanno avuto la malasorte di finir dentro una voragine a caso. Per non dire di chi ci rimette la pelle.

Prendiamo Verona. A parte un certo disordine organizzativo (esiste un assessorato alle strade ma la competenza sui relativi lavori è di un altro settore!) registrato dalla stampa locale, c’è il problema di circa tre milioni di euro che -annuncia il sindaco Tosi– appena tornerà il bel tempo saranno impiegati per aggiustare buche, fossi e avvallamenti. Il guaio è che quel danaro sarebbe già vincolato per altre opere pubbliche (tra cui l’ennesima rotatoria) e qualcuno inizia a chiedersi come sarà possibile aggirare l’ostacolo.

A poco meno di mille chilometri verso sud, a Palermo, stesso film: con la differenza che qui è in corso un braccio di ferro tra comune e Amia (la municipalizzata) su chi debba far cosa e chi abbia ordinato di far cosa a chi. Nel frattempo le strade, a quanto pare tutte, si presentano come una scorza lunare: con l’aggiunta di un problema di equità «costituzionale», nel senso che sembrerebbero messe meglio in certi quartieri e peggio in altri. Non originale come problema ma, intanto, c’è. 

Risaltando al nord ci sono Bergamo e la bergamasca, dove pare stiano sperimentando quel che in alcune aree del sud è consolidata tradizione: cioè la via crucis delle assicurazioni, con le compagnie che moltiplicano le franchigie (cioè le quote da versare in proprio in caso di sinistro) ed i premi da pagare per le coperture. Sempre che non se ne siano già scappate lasciando  scoperti gli enti: lo sport nazionale della truffetta al comune per aggiustarsi l’auto o drenare qualche migliaio di euro è cosa nota anche da quelle parti ormai.

A Magenta, pochi chilometri a più a sud stessa canzone: strade scassate e tasche vuote. Idem per Ravenna e decine di altre città. Ad Eboli (Sa) manco a dirlo, proprio ieri il sindaco ha minacciato di chiudere le strade se la Provincia non si deciderà a metterci almeno una pezza: giusto, però restano quelle comunali che non sembra godano di miglior salute e qui torniamo a bomba, nel senso che di danaro non c’è neppur l’odore. 

Infine c’è Napoli, l’unico posto dove le cose o si fanno in grande stile o niente. Qui è in corso addirittura un’indagine della magistratura per capire addosso a chi buttarla la croce dello storico scempio delle proprie vie interne ed esterne. Percorrere, ad esempio, la mitica via Marina è come sfilare sotto le bombe a Baghdad durante la seconda guerra del golfo. Qualche nube pare si stia addensando proprio dove meno te l’aspetteresti: gli inquirenti, dopo aver impiegato tutti i carabinieri delle stazioni disseminate nel comprensorio per la mappature delle buche, hanno già interrogato un assessore di De Magistris e un ex city manager. Al netto del retaggio del passato, da due anni c’è una giunta nuova, da due anni ci sono voragini terrificanti, da due anni si registrano incidenti veri e meno veri che alla fine ricadono sui costi generali, e qualcuno dovrà pur risponderne.

Dei soldi fermi per il patto di stabilità, però, ieri De Magistris ha detto di averne stornati per 39 milioni: «Ecco la prima delibera rivoluzionaria, con questi soldi daremo respiro all’economia locale». Il fatalismo ironico dei napoletani in replica: va bene la rivoluzione ma ci accontenteremmo anche di un piccola riforma. A partire dalle «botte» (come in Campania chiamano le buche stradali) sotto casa.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 4 aprile 2013)

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