ARCHIVIOLa centralità della dimensione contemplativa nella riflessione del cardinal Coccopalmerio

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Cardinale Coccopalmerio

Per la festa del Transito di S. Benedetto, che i monaci benedettini tengono alla data canonica del 21 marzo, alla Badia di Cava dei Tirreni ha celebrato la messa pontificale il cardinale Francesco Coccopalmerio (nella foto di Angelo Tortorella) presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi. Capo di quel dicastero che ha competenze strategiche nella Curia Romana, dall’interpretazione autentica delle leggi generali della Chiesa, sia latina sia greco- cattolica, di ausilio giuridico agli altri dicasteri, sino all’esame di conformità di tutte le leggi emanate da organi inferiori alla Sede apostolica.

 

Celebrazione quella di Cava che, in qualche modo, “consacra”, come ha sottolineato l’abate – amministratore della Badia, Giordano Rota, la ratifica da parte della S. Sede della nascita della Congregazione monastica sublacense – cassinese, così denominata a seguito della storica incorporazione dei monasteri della seconda entro la provincia italiana della prima dopo la frattura consumatasi nel 1867 ad opera dell’abate Casaretto in nome della “primitiva osservanza”. E’ stata anche la prima celebrazione di un porporato alla Badia dopo la recente riduzione della diocesi abbaziale alla sole mura del monastero e alla sue immediate dipendenze con il passaggio delle sue tre parrocchie alla confinante diocesi di Amalfi – Cava. A maggior ragione è apparsa significativa la presenza del presule, riconfermato, come tutti i capi dicastero vaticani, donec aliter provideatur da papa Francesco, il quale ha dichiarato di necessitare di “riflessione e preghiera” prima di porre mano alla tanto invocata riforma della Curia Romana.

Tuttavia queste sollecitazioni non sono state presenti nelle parole del cardinale che ha piuttosto invitato i monaci e ogni fedele a riflettere sullo specifico della vocazione cristiana. A partire dall’esempio di S. Benedetto, da sempre associato alla figura di Abramo, persimilis Abraham, che fa sua la promessa di Dio di diventare padre delle nazioni in cambio del suo atto di fede, o degli Apostoli la cui ricompensa sarà il centuplo nella vita eterna.

Su questi temi si è concentrata la riflessione di Coccopalmerio, attento alla centralità della dimensione contemplativa della preghiera dei monaci come di tutti i fedeli pur nelle diverse graduazioni, ma con una significativa nota che concerne anche la componente fisica, quindi esteriore della meditazione. Non solo dunque la dimensione spirituale non sempre immediatamente percepibile e raggiungibile, ma anche la componente oggettiva, che “istituzionalizza” il rapporto quotidiano dell’uomo con Dio. In questa nota è facile leggere l’esperienza del canonista, ovvero di quella parte della sapienza della Chiesa cattolica che dal Concilio Vaticano II in poi non gode di particolari simpatie nella formazione sacerdotale.

Liquidato spesso sotto le spoglie del “formalismo”, il diritto canonico all’inverso è traduzione normativa dei precetti evangelici, essenziale all’organizzazione della Chiesa pur nella sua componente strumentale e teleologica di salus animarum. Ed è stata una delle occasioni mancate del pontificato di Benedetto XVI, per tanti aspetti incisivo riformatore del codice di diritto canonico, che dopo avere con grande lucidità favorito l’incontro di fede e ragione, di avere riproposto il nesso inscindibile tra lex credendi e lex orandi nella liturgia, non ha avuto forse la possibilità di riconciliare la teologia con il diritto, artatamente presentati in contrapposizione. Come si è anche evidenziato a proposito delle questioni insorte dalla stessa rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI.

La testimonianza di Coccopalmerio è all’inverso la prova che il linguaggio del diritto, nella sua valorizzazione degli elementi strutturali in concorrenza con quelli formali, i solemnia del lessico canonico, è strumento valido oltre i confini immediatamente propri, anche perché ripete la sua origine, come la teologia, dalla stessa sacra Scrittura. Resta quindi tutta intatta la sfida di questa riconciliazione dei linguaggi nella Chiesa, le cui premesse sono tutte nell’insegnamento metodologico di Benedetto XVI e che pure si vedrà se papa Francesco intenderà seguire nella stessa coerenza logica.
Nicola Russomando

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Redazione Eolopress

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