Provate a chiedere copia di un documento, di un atto, di una sentenza o di qualsiasi altra cosa agli uffici di un tribunale italiano a caso: fatte le dovute (rarissime) eccezioni, la richiesta dovrà superare mille ostacoli prima di esser soddisfatta. Manca l’impiegato addetto, la fotocopiatrice ha il toner scarico, il dottore è fuori stanza, il magistrato era qui un minuto fa ma ora è andato in ferie, e così via. Un quadro immobile da anni e sistematicamente snobbato da chi, a queste cose, dovrebbe metter mano.
A Napoli -ma, verosimilmente, pure altrove- avevano escogitato il più tradizionale dei sistemi per accelerare i così detti tempi della giustizia: una bella mancia al cancelliere, al funzionario o al dipendente, ed ecco che la copia dell’atto d’incanto si materializza. Bastava sganciare una ventina di euro almeno e quella sentenza che da settimane non si trovava perché sepolta chissà sotto quale montagna di fascicoli o quella notifica che tardava ad arrivare, tornavano in vita.
Piccole corruzioni quotidiane, paradossalmente foriere di maggiori garanzie di conclusione del procedimento o, al contrario, di bloccarne l’avanzata: dipende da quale parte della scrivania si stava seduti.
E’ quel che, incidentalmente, la procura di Napoli ha scoperto (?) nell’ambito dell’inchiesta su una rete di dipendenti del tribunale finiti nei guai insieme a cancellieri ed avvocati. Rovistando a caccia delle prove per inchiodare i membri del «sistema» degli aggiustamenti illeciti dei procedimenti, gli inquirenti sembrerebbero aver portato alla luce non soltanto la consolidata pratica della «mancetta» al cancelliere ma pure un altro sport ampiamente praticato in tutt’Italia: l’assenteismo tra i ranghi dei dipendenti.
Solito schema: ti dò il mio badge (il cartellino da timbrare) tu lo strisci al mio posto così io faccio i miei comodi nel frattempo; domani farò lo stesso con te. E così via. Nulla di straordinario se non fosse che quando la cosa si verifica all’interno dei tribunali il danno ricade due volte, se non di più, sulle spalle degli utenti. Una prima volta, perché già di per sé il sistema giustizia fa acqua da ogni parte; una seconda, perché al ritardo strutturale si aggiunge quello «congiunturale», mandando a farsi benedire ogni minima aspettativa di giustizia.
Ma è sulle mance ai cancellieri (da 20 euro in su) che la faccenda sembra essersi fatta seria: pare che nel palazzo del tribunale, guidato dal giudice Carlo Alemi, la «procedura» si stesse oltremodo consolidando. Saranno gli sviluppi dell’indagine a chiarirne la portata: se sviluppi ci saranno.
L’aspetto interessante è che la cosa è saltata fuori nel corso di un’altra indagine particolarmente delicata: quella che ha portato all’arresto del noto penalista Salvatore Maria Lepre, accusato di millantato credito e corruzione in atti giudiziari. Un arresto shock, contestato perfino dalla Camera Penale per il fatto che l’avvocato Lepre era stato spiato ed intercettato per mesi durante i colloqui con i suoi assistiti.
Scavando nelle pieghe di questa vicenda è poi venuto fuori quel che tutti sapevano ma che fino a quando non diventava ufficiale era come se non fosse mai esistito: la paghetta, la mancia, cioè il motore del mondo.
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 5 febbraio 2013)