ARCHIVIOFallimento De Magistris: l’inchiesta “Why Not” smontata dai giudici

admin25/01/2013
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De Magistris-Annozero

Sembra ieri quando, dagli studi di Anno Zero (foto) l’ancora pm Luigi De Magistris informava gli italiani che qualcuno lo voleva farlo fuori per aver scoperchiato la pentola del malaffare che dalla Calabria si diramava in tutto il paese. Dentro c’erano tutti: politici, imprenditori, funzionari dello stato, magistrati, giornalisti: chi tentava di mettergli i bastoni tra le ruote erano, ovviamente, i «poteri forti» su mandato di «logge massoniche coperte e servizi deviati» disposti a tutto pur di accaparrarsi il denaro pubblico.

 

Musica per le orecchie di Santoro, miele per il palato di un pubblico che chiedeva sangue e patiboli. Il resto è cronaca, militanza antimafiosa professionale, carriera politica e biglietto da visita da «servitore dello stato con la schiena dritta». Parliamo della mitica inchiesta “Why Not”, un guazzabuglio impressionante inaugurato da De Magistris e consegnato ai suoi successori che, a distanza di qualche anno, continua a naufragare pezzo dopo pezzo. 

L’ultimo ce lo indicano le 150 pagine di motivazioni della sentenza di I grado (un altro grosso filone è stato definito nel 2010 con rito abbreviato) depositate l’altro giorno relative alle posizioni di 26 indagati che avevano optato per il rito ordinario: anche qui un’altra «strage», con soli 9 colpevoli per illeciti amministrativi ed il resto cancellato dai giudici con assoluzioni e prescrizioni.
Ma il piatto forte è dato dal crollo di un altro pezzo importante del teorema che tanta gloria ha tributato all’oggi sindaco di Napoli: vale a dire il coinvolgimento di politici ed imprenditori di primo piano della scena non solo calabrese. Il riferimento è alle immaginate corruttele intercorse tra l’ex vice presidente della Regione, Nicola Adamo, il patron della catena di supermercati Despar, Antonino Gatto, l’ex governatore Loiero e l’ex leader della Cdo, Saladino. Sparare in questi contesti viene di solito facile a chiunque, l’effetto mediatico è assicurato.

Il punto è che di tangenti, emendamenti legislativi ad hoc per intascare erogazioni pubbliche e patti elettorali vari non v’è traccia. Il collegio giudicante di Catanzaro (presidente Antonio Battaglia, a latere Adriana Pezzo e Giovanna Mastroianni) scrive testualmente: «Non è stato acquisito alcun elemento idoneo a ricostruire in coerente e logica successione la concatenazione degli eventi, che, secondo la prospettazione accusatoria, costituiscono l’illecita operazione di scambio. Non è possibile individuare neppure larvatamente alcun atto o provvedimento (…) volto a favorire gli interessi imprenditoriali del Saladino o del Gatto».

Cioè: i due manager non corruppero Adamo né altri, la corruzione e il relativo corrispettivo non sono mai esistiti. Un pezzo d’Italia però continua a crederci: e magari vota pure Movimento Arancione.

Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 25 gennaio 2013)

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