Aggiustavano i processi, a volte li manipolavano e spesso facevano in modo da far saltare le udienze: tutto questo per favorire gli imputati nei vari processi pendenti in corte d’appello o al tribunale di sorveglianza di Napoli. In diversi casi a beneficiarne erano addirittura boss della camorra. E’ con questa raffica di accuse che la procura partenopea, coordinata dall’aggiunto Alessandro Pennasilico, ha gettato la rete ieri mattina. E la pesca è stata di quelle grosse, almeno quantitativamente. Quarantacinque indagati in tutto: di questi ben ventisei sono stati colpiti da misure cautelari (tre in carcere, 23 ai domiciliari e un’interdizione) eseguite dalla Finanza.
Coinvolti quattro avvocati (Giancarlo Di Meglio, Fabio La Rotonda, Giorgio Pace e Stefano Zoff), due dipendenti della Corte d’appello (Mariano Raimondi e Giancarlo Vivolo) e un «faccendiere» che circolava spesso tra gli uffici giudiziari, Vincenzo Michele Olivo. Nei guai anche un ispettore di Polizia. Formalmente le accuse sono pesantissime: associazione a delinquere, accesso abusivo ai sistemi informatici, violazione del segreto istruttorio, corruzione in atti giudiziari e occultamento di fascicoli processuali.
Ad inchiodarli diverse riprese video oltre che le tradizionali intercettazioni, da cui emergono numerosi episodi di scambi di danaro tra cancellieri ed avvocati. Il sistema era abbastanza rodato: i dipendenti degli uffici giudiziari, in prossimità delle scadenze processuali e su sollecitazione degli avvocati o degli altri protagonisti coinvolti, provvedevano a modificare fascicoli e documenti, a cambiare il tenore di alcune perizie tecniche, in modo tale da far slittare le udienze a data da destinarsi, con l’obiettivo di far prescrivere i reati fin dove ciò fosse stato possibile o far decorrere i termini di custodia cautelare fino alla scadenza. Mutare poi il contenuto di una perizia, cioè trasformarla da sfavorevole all’imputato a favorevole, era manovra abbastanza rischiosa ed azzardata ma che, in ogni caso, poteva determinare una sorta di «rivoluzione» per l’imputato. L’organizzazione avrebbe, in tutto questo, favorito anche personaggi legati al mondo della criminalità organizzata. L’ispettore di Polizia del commissariato di Vicaria, finito ai domiciliari, avrebbe avuto invece il compito di redigere relazioni favorevoli su vari soggetti colpiti da indagini. In alcuni casi al centro del misfatto c’erano le sentenze di abbattimento delle case abusive di Ischia.
Ogni organizzazione che si rispetti ha le sue regole e le sue tariffe: e questa che ha terremotato il tribunale napoletano ne aveva una serie quasi scientifica. A seconda del tipo di reato da ammorbidire scattava il prezzo da versare agli indagati, man mano scendendo i gradini del codice penale in relazione alle pene previste. I prezzi andavano dai 100 ai 1500 euro.
Il procuratore aggiunto Pennasilico, dinanzi al tipo di organizzazione messa in piedi nel corso del tempo proprio a pochi metri di distanza dagli uffici dei magistrati, non ha esitato nel parlare di «rete corruttiva estesa e consolidata».
Peppe Rinaldi (dal quotidiano “Libero” del 16 gennaio 2013)