ARCHIVIOA 50 anni dal Vaticano II: un felice controcanto a mode e nuovismi

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don Piero Cantoni

“La riforma nella continuità”: è stato questo il tema del convegno tenuto a Salerno nella chiesa di S. Pietro in Camerellis il 13 dicembre, patrocinato da Alleanza Cattolica, con relatore il teologo don Piero Cantoni (foto). Il tutto nel contesto dell’approfondimento del Concilio Vaticano II a cinquant’anni dalla sua apertura e sotto il segno di quell’ermeneutica della continuità con cui si è iniziato il pontificato di Benedetto XVI.

 

E a Salerno, come in ogni sede di discussione, si è assistito al controcanto agli oltranzisti del Vaticano II, che hanno avuto espressione nella conferenza tenuta in precedenza da mons. Bettazzi, testimone itinerante dell’evento sinodale. Così, bandito il corredo di barzellette circolanti sul concilio della versione Bettazzi con tutto il compiacimento dell’uditorio, l’esposizione di Cantoni si è caratterizzata per la sobrietà della riflessione non tanto su una rilettura dei fatti storici, quanto sui contenuti che sostanziano la fede. La rilettura dei fatti ha preferito lasciarla alla “Scuola di Bologna” e al suo fondatore Giuseppe Alberigo, che, nella sua monumentale ricostruzione del Vaticano II, può anche considerare alcuni documenti del concilio come non corrispondenti allo “spirito del concilio”.

Sul fronte dei contenuti, il relatore si è solo limitato a citare alcuni testi del magistero pontificio che confermano l’ermeneutica della continuità quale criterio esclusivo individuato dai Papi per la ricezione del Vaticano II. Chiave d’interpretazione privilegiata, il termine “aggiornamento”, tanto caro alla scuola bolognese, individuato da Giovanni XXIII come giustificazione per la convocazione sinodale. Tuttavia, proprio sulla valenza corretta del termine, Cantoni ha riproposto un passo significativo di un discorso di Roncalli ai direttori spirituali dei Seminari del settembre 1962, ad un mese dall’apertura dell’assise, in cui il Papa diffidava dall’interpretare l’aggiornamento nel senso del cedimento allo “spirito secolare”. Un cedimento, invece, di cui i rerum novarum studiosi, gli appassionati delle novità, come sempre Giovanni scrive, hanno fatto largo uso nel cinquantennio intercorso anche a rischio di snaturare la fede cattolica. Ed è sui contenuti della fede che il discorso di Cantoni all’inverso si è concentrato, anche alla luce dell’anno della fede indetto da Ratzinger.

In effetti, l’indizione di un anno della fede a cinquant’anni dal concilio, sull’esempio dell’analoga iniziativa di Paolo VI nel 1967 con la proclamazione del “Credo del Popolo di Dio”, riproposizione solenne di tutte le verità della fede, è volta a riaffermare non solo principi, ma specifici contenuti di cui si sostanzia il cattolicesimo. E se il Vaticano II viene letto come concilio eminentemente pastorale, esso a maggior ragione suppone tutta la Tradizione dogmatica precedente, come lo stesso Paolo VI ebbe a ribadire già nel 1966 sul tema delicato del peccato originale, messo in discussione proprio per l’assenza di pronunce ad hoc all’ultima assise ecumenica. Tra l’altro, a voler insistere sulle analogie, il relatore ha richiamato l’esperienza dei due catechismi ufficiali della Chiesa cattolica, quello romano, prodotto dal Concilio di Trento nel 1563, e quello attuale, promulgato da Giovanni Paolo II nel 1987 come silloge della fede cattolica alla luce degl’insegnamenti del Vaticano II. Unica differenza non marginale è che il primo era destinato ai parroci, alla base, il secondo ai vescovi, vertici nelle chiese locali, maestri della fede, e con accresciute responsabilità in ordine a pretese di governo sinodale della Chiesa di derivazione conciliare.

E sul problematico rapporto tra contenuti della fede e la loro traduzione pratica, è stato ricordato un passaggio delle conversazioni private di Paolo VI con l’amico e filosofo Jean Guitton nel 1976, allorché Montini, al tramonto del suo travagliato pontificato, con toni profetici, ricordava un interrogativo di Gesù consegnato al Vangelo: “Quando il Figlio dell’Uomo tornerà sulla terra, troverà la fede?”. L’angoscia del Papa per questa domanda si manifestava in tutta la sua drammaticità davanti alla constatazione dell’apostasia in seno alla stessa Chiesa da parte di teologi e di ministri ordinati in nome di una malintesa libertà di coscienza scaturita dal Vaticano II.

Oggi il custode dell’ortodossia, il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il vescovo Gerard Müller, attingendo ad un lessico non più in auge nel cattolicesimo contemporaneo, definisce tout court eresia l’ermeneutica della discontinuità applicata al concilio Vaticano II. E, per superare il comprensibile stupore, va solo considerato che nessun aggiornamento della fede può rappresentare un cedimento allo “spirito secolare”, neppure al politically correct tanto in voga invece oggi.
Nicola Russomando

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Redazione Eolopress

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